La longevità può essere vitale o adagiarsi in un rassegnato grigiore. Giacomo Rizzo ha scelto la prima. Gli 80 anni, compiuti ieri, li festeggerà il 18...
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Giacomo, come ci si sente a 80 anni?
«Imbarazzato. Perché ho l'età che ho, ma non la sento, complici i 72 anni di carriera: mi fanno stare benissimo».
Parliamo di donne. Con chi si accompagna oggi?
«Sono single. Ho avuto due mogli, Pina e Stefania; una storia con Carla e, a 75 anni, una con Giovanna, che ne aveva 31. Ho sempre amato la gioventù. E ho tre figlie. La prima nacque che avevo 26 anni, la seconda 30, l'ultima 52. Ma non sono mai stato un puttaniere. Voglio dire: le donne le ho amate veramente; come la famiglia».
Diceva Groucho Marx che gli uomini sono donne riuscite male.
«E aveva ragione. Mi affascinano molto, sa!? Le trovo più intelligenti e duttili, propense a capire i maschi più di quanto i maschi sappiano fare con loro. Mi sento protetto, bambino, figlio. Allo stesso modo, noi siamo un po' i padri delle nostre donne. L'uomo-uomo non ha un bel rapporto con l'altro sesso. Io, invece, che sento in me anche qualcosa di femminile, riesco a comprenderlo e ad avere la pazienza necessaria».
Dunque, il segreto della sua longevità vitale è l'universo femminile?
«Non soltanto. Amo il mio lavoro. Ho la passione del teatro. Non mi fa invecchiare. Sono bravo in cucina, leggo e scrivo. Le basta?».
Il primo debutto vero?
«L'esperienza di Portici non mi fermò. Continuai a fare le macchiette in matrimoni, feste, battesimi, prime comunioni. Ero ancora un fanciullo e, per l'epoca, rappresentavo una novità. Per giunta, guadagnavo i miei primi soldini. Collaboravo alle spese di famiglia: mamma sarta, papà impiegato del Risanamento; famiglia dignitosamente povera. Verso i 14, 15 anni cominciai a frequentare i palcoscenici del varietà, assieme a un attore, Arturo Maghizzano, specialista nel ruolo di guappo. Mi piaceva anche la musica, e avevo una voce niente male. Dai 17 ai 22, 23 anni fui cantante di night, ma conducevo anche serate nelle feste di piazza. Nel '70 approdai all'avanspettacolo, prima soltanto come ballerino, al fianco di Aldo Tarantino e Lino Marcelli, poi con una mia compagnia. Ricordo con piacere e nostalgia Dal Vesuvio con amore, assieme a Merola e a Maria Paris».
Quanti film ha girato?
«Sessantotto. Sono un comico, ma non mi dispiacciono i ruoli seri. Non soltanto sul set. Conservo ancora le emozioni dei Cechov e degli Strindberg allo Stabile di Torino, con artisti che si chiamavano Mario Missiroli, Gastone Moschin, Glauco Mauri, Annamaria Guarnieri».
Lei è stato anche attore di sceneggiata.
«Certo, Con Merola. Facevo il comico, accanto a Lino Prisco e Adele Moretti. Ma non durò molto. La sceneggiata non mi piaceva».
E non dimentichiamo le tre edizioni della «Francesca da Rimini» di Petito al fianco dei Giuffré.
«Un successo appagante, durato quasi una decina d'anni. Nell'85-'86 restammo in tournée nove mesi».
Dunque, donne, lavoro e...
«Sono un buon cuoco. Tra le mie specialità ci sono le minestre e una pasta alla siciliana con olive nere, capperi, acciughe, uva passita e pan grattato, fritto e sparso sul piatto fumante. La cucina mi acquieta. È come un massaggio. La stessa sensazione me le danno la lettura e la scrittura». E l'amore. «E l'amore, certo».
Sogni ancora nel cassetto?
«Un grande spettacolo in cui possa fare Totò».
Non teme l'imitazione?
«No. È sempre Giacomo Rizzo che mette i suoi panni. Come da bambino. Ricordo un giorno mio padre mi portò al cinema. Davano Totò fermo con le mani. All'uscita gli dissi: Papà, da grande voglio fare quello lì». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino