«Povero tempo nostro... e poveri questi giorni di magra umanità». Il titolo, «Prezioso», non mente, è prezioso davvero il nono album di...
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La voce di Gianmaria attraversa «pallidi orizzonti interrotti dai boschi» per cantare la pianura di Brel, di cui traduce «Le plat pays», ma sa di montagna anche quando sogna il mare, e sa che il mare e la montagna sono confini scomodi, da attraversare, da superare, a cui sopravvivere, ma che la pianura è un pantano, una trappola, un orizzonte impossibile. E sì, «Povero tempo nostro», impoverito anche dall'assenza di uno chansonnier che la Francia ha capito più e prima dell'Italia, eppure così italiano, tra Tenco e Pavese, Conte e Capossela, ma più essenziale del primo, più in viaggio del secondo, più restio alla swing del terzo, più concreto del quarto. Per una Barbara, a cui sarebbe bastato mettere al caldo i piedi, nel disco c'è una carezza d'amore. Per «chi fa il padreterno» in terra, invece, un sonoro «vaffanculo», che la canzone d'amore e quella d'odio si inseguono sempre, come ebbe a insegnarci il maestro Cohen. Per i neorazzisti, per quelli che «aiutiamoli a casa loro», per quelli che bloccano i porti, le navi e le migrazioni c'è «Merica Merica», storia d'italica transumanza con la voce recitante di Battiston. «Dentro la maschera di Arlecchino» c'è un uomo che sa più cos'è un uomo, figurarsi un commediante. Scabrosi racconti di donne andate («l'oblio è una virtù»), arpeggi che inseguono il ritmo del treno come quello della risacca, il «x agosto» di Pascoli messo in musica: memorie di quando c'era Gianmaria, che non era in influencer, e nemmeno voleva esserlo. Ma aveva storie e mondi da cantare e li sapeva cantare. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino