Accento tipicamente romagnolo e abbigliamento demodé, con sandali e calzini bianchi. Nel mirino dei suoi monologhi gli usi e costumi del Belpaese, tra i pensionati in...
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Perché «Io ci sarò», Giacobazzi, anzi Sasdelli?
«Sono un genitore di 55 anni con una figlia di 5 e quindi mi sono posto delle domande: riuscirò a vedere i miei nipoti? E nel caso li riesca a vedere, riuscirò a rapportarmi con loro come fa un nonno e quindi a viziarli, a giocare con loro, a raccontare storie? Quindi ho pensato di analizzare le difficoltà di comunicazione tra generazioni con lo scopo finale di lasciare un videomessaggio attraverso il quale interagire con i miei possibili futuri nipoti. Ma non è solo una boutade. Tutte le sere registriamo lo spettacolo e io ne conservo una copia, perché il messaggio ai posteri lo lascio per davvero».
Che cosa racconta al pubblico?
«Come siamo cambiati noi in questi anni, le nostre esperienze, le nostre abitudini e conoscenze. E cosa mi auguro per il futuro delle future generazioni. A questo proposito racconto di Superman, abituato alla vecchia cabina telefonica dove Clark Kent si trasformava in supereroe, che vuol fermare un mostro pronto a distruggere il duomo di Milano. Solo che le cabine non ci sono più, e quindi lo fanno cambiare nel negozio di moda in piazza dove trova una folla di antiquati supereroi in attesa di uno spogliatoio libero. Insomma anche i nostri miti sono diventati vecchi».
«Zelig circus» e gli show di quel tipo fanno parte del passato o possono ancora funzionare?
«Temo siano datati. La carrellata di comici ormai non funziona quasi più. I talenti ci sono ma è il contenitore che è vecchio. Dopo vent’anni bisogna trovare altre formule. E questo vale anche per “Colorado” e “Made in Sud”, che pure ha un grande regia e una brillantezza che mi piace molto. E che infatti l’ha premiata. Ma il discorso del contenitore è il medesimo. E poi oggi fare ascolti importanti è molto difficile. “Zelig” nel 2006 faceva 7-8 milioni di telespettatori, l’ultima edizione era crollato intorno ai 3. Sta cambiando tutto, le giovani generazioni sono solo sul web o sulla tv satellitare on demand. Quindi lunga vita al teatro, il luogo migliore per chi vive di parole come noi».
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Il Mattino