Addio a Glenn Cornick, storico bassista dei Jethro Tull

Glenn Cornick
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Un attacco di cuore ha stroncato Glenn Cornick a 67 anni. Destino quasi beffardo visto che lui, con il suo basso in mano, fu proprio il cuore



pulsante dei primi Jethro Tull insieme alla batteria del portentoso Clive Bunker. E con il leader polistrumentista Ian Anderson e il chitarrista Mick Abrahams, il quartetto diede alla luce il primo album “This was”. Era il 1968 e questa gemma progressive, molto blues oriented, accese immediatamente i riflettori su questo gruppo musicalmente innovativo anche per il flauto di Ian Anderson, strumento che all’epoca, nel rock, non era molto utilizzato.



Cornick e Bunker costituivano una base ritmica possente e votata al virtuosismo. I “giri” di Cornick era davvero un “tappeto” strutturale sul quale il flauto di Anderson e la chitarra di Abrahams scivolavano con impressionante efficacia.



Glenn Cornick rimase nei Jethro Tull fino all’uscita del terzo album. Quel “Benefit” che una corrente di pensiero ritiene il miglio disco del complesso, addirittura superiore a “Aqualung” considerato una pietra miliare del rock.



Il bassista se ne andò nel 1970. I motivi non furono chiari, ma non è fantascientifico supporre che possa essere nato qualche attrito con Ian Anderson, da sempre leader capriccioso e poco incline alla diplomazia. Così Cornick formò i Wild Turkey, un gruppo che non poteva non risentire dell’influenza “Jethro” ma che offriva a Cornick la possibilità di esprimersi anche come compositore. Kartago e Paris, poi, furono altri due “combo” nei quali Cornick si mise in luce soprattutto come strumentista, rimanendo poi attivo nel panorama rock anche dopo lo scioglimento dei gruppi. Negli anni ’90 rimise in piedi i Wild Turkey e partecipò anche a numerosi tributi ai Jethro Tull suonando i brani che lo avevano visto protagonista nel gruppo di Ian Anderson.



Un grande bassista, in definitiva, al quale si sono ispirati numerosi musicisti, anche dilettanti, impressionati dal suo stile e dalla sua tecnica. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino