Il successo travolgente di «Gomorra La serie 2» e le immancabili polemiche hanno toccato l'apice col finale-evento della seconda stagione, che martedì sera...
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Il «season finale» diretto da Claudio Cupellini, durissimo e spettacolare, ha confermato le enormi potenzialità narrative di un franchise capace di raccontare il cuore nero della camorra con un linguaggio audiovisivo contemporaneo e universale. Il colpo di scena conclusivo della morte di don Pietro Savastano per mano dell'acerrimo rivale Ciro Di Marzio, col confronto sul set tra Fortunato Cerlino e Marco D'Amore; l'ascesa dell'ambiguo e scaltro Genny Savastano (Salvatore Esposito) al vertice della piramide criminale; l'ingresso nel clan di Patrizia, la vera protagonista femminile della stagione interpretata da Cristiana Dell'Anna hanno profondamente coinvolto il pubblico e gettato le premesse per una terza stagione che s'annuncia piena di novità.
Per Stefano Bises, capo-sceneggiatore della serie, «anche per questa seconda annata, ci siamo appoggiati alla realtà prendendone in prestito il contesto e il patrimonio di storie, spesso più incredibili di quelle di fantasia. Poi, però, questi spunti reali ci sono serviti per costruire un prodotto di fiction, di genere gangster, capace d'intrattenere grazie a personaggi e trame interessanti e avvincenti».
E, a proposito di cortocircuiti tra finzione e realtà, a suscitare le reazioni più forti è stata la sequenza dell'omicidio della bambina di Ciro Di Marzio da parte di Malammore, tanto che ieri Fabio De Caro, il bravo interprete del luogotenente di don Pietro s'è visto costretto a intervenire in video sulla sua pagina Facebook per precisare le differenze, che dovrebbero essere ovvie, tra attore e personaggio, dopo essere stato oggetto in rete in mattinata di offese e persino qualche minaccia: «Per me è stato durissimo interpretare quella scena, ma si tratta del mio lavoro, che faccio con passione. Fino a quando il pubblico vuole insultare Malammore faccia pure. Anche io lo insulterei. Ma si tratta solo un personaggio, diversissimo da me. E, dunque, non tollero le offese e le minacce nei miei confronti, anche se per fortuna sono un'assoluta minoranza».
Torna sull'argomento anche chi ha scritto la scena. «Quell'episodio», sottolinea Bises, «è di pura fantasia, anche se proprio ieri Roberto Saviano ha pubblicato sul suo sito l'intercettazione di un boss che minaccia di sterminare i bambini di un rivale. Però, le reazioni sono interessanti perché dimostrano quanto la gente si sia lasciata coinvolgere dalla visione della serie, tanto da sganciarsi dalla realtà e farsi trasportare all'interno di un universo totalmente di finzione». Dice la sua anche Salvatore Esposito, il Genny Savastano vincitore della guerra di camorra nella serie: «Ho manifestato subito la mia vicinanza a Fabio, anche se cose simili ti fanno cadere le braccia. Ho la sensazione che quei commenti, comunque pochissimi, arrivino da persone a loro volta strumentalizzate da voci ben più autorevoli, politici o opinionisti, ai quali purtroppo viene dato spazio sui media per il puro gusto della polemica. Noi, però, andiamo avanti, continuando a puntare sulla qualità di un prodotto lodato in tutto il mondo».
Il colpo di scena finale della seconda stagione, però, è certamente la morte di don Pietro Savastano. «La sequenza tra Pietro e Ciro», spiega l'interprete del boss defunto, Fortunato Cerlino, «è stata densissima, con un enorme rispetto da parte di Marco D'Amore per quello che sarebbe stato il mio congedo dalla serie. Pietro doveva morire, da un lato perché aveva ordinato l'esecuzione della bambina, dall'altro perché era stato indebolito e reso più fragile e imprudente dall'amore per Patrizia. La seconda stagione ha approfondito maggiormente le psicologie dei vari personaggi e, a mio avviso, è servita anche per far capire che le esistenze di criminali come quelli raccontati da noi sono senza speranza e calate in un'infinita spirale di morte priva di vie d'uscita». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino