CANNES - Pedro Almodovar e Antonio Banderas l'uno di fronte all'altro come in uno specchio. Il regista e il suo attore feticcio. O meglio, il regista e il suo alter...
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Quanto c'è di lei nella figura del protagonista?
«Direi che per il 40 per cento il personaggio di Salvador Mallo parla di cose che mi sono realmente accadute, ma se guardiamo alla verità più intima e profonda, allora la percentuale arriva al cento per cento. Tutto ciò che si vede nel film potrei averlo vissuto. E tutto riporta a me: gli abiti, l'arredamento, perfino i quadri della movida madrilena che tengo appesi alle pareti della mia casa di Madrid li abbiamo replicati sul set».
«Sdoppiarsi» è stato complicato?
«La cosa più difficile è stata contenere l'intensità barocca di Antonio. Mi ha sorpreso ed emozionato».
«Dolor y Gloria» è il suo modo di chiudere un cerchio, di venire a patti con i rovelli della vita?
«Convivo da tempo con la paura che mi capiti quel che succede al mio protagonista, temo di perdere l'ispirazione o la capacità fisica di girare un film. Il personaggio di Banderas è depresso e immalinconito dai suoi fantasmi e cerca un rifugio nell'eroina, ma la sua vera dipendenza è il cinema. È il cinema a salvarlo e lo stesso vale per me. In altre parole, Dolor y Gloria è una dichiarazione d'amore al cinema e al grande schermo».
Ricorda quando è nata questa passione?
«Devo esserci nato, vedere i film mi è sempre piaciuto. Da bambino mi appassionai a un melodramma sulle orfanelle e alle storie folkloristiche spagnole».
E oggi?
«Non mi piacciono le storie di supereroi e le saghe in franchising. Per il resto quest'anno, tranne Roma di Cuaròn, che ho visto in sala, certo non su Netflix, e Cold War di Pawlikowski, non mi pare ci fosse granché».
Rimpiange di non aver mai fatto un'esperienza americana?
«Non so se sarei capace di lavorare a Hollywood. Potevo averne la possibilità quando mi proposero di girare The Brokeback Mountain, ma non accettai perché mai sarebbe passata la mia idea, peraltro presente nel libro, di far accoppiare i due cowboy tutto il tempo come animali, se non altro per riscaldarsi. Però il film di Ang Lee mi piacque molto».
Le mancano gli anni Ottanta che racconta in «Dolor y Gloria»?
«C'era molta libertà creativa, oggi avrei più difficoltà a far uscire un film come La legge del desiderio. Le norme non sono cambiate, ma è subentrata una forte sensibilità cattolica reazionaria».
Ne risentirà il prossimo voto europeo?
«Impossibile fare previsioni. Le ultime elezioni in Spagna sono state una sorpresa positiva, avremo un governo di sinistra progressista, e spero che in Europa accada la stessa cosa».
È d'accordo con il presidente di giuria Inarritu quando dice che Cannes cambia la vita di un regista?
«Penso che senza Cannes la mia vita non sarebbe cambiata. Ma venire al Festival mi piace, le proiezioni al Palais fanno capire che film ho fatto a una platea gigantesca e internazionale». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino