L'oppressione in una stanza: Valčuha sul podio del San Carlo con Kabanová

Kát’a Kabanová al San Carlo di Napoli
Da sabato 15 a giovedì 20 dicembre sarà in scena al Teatro di San Carlo di Napoli una delle storie più controverse e affascinanti della letteratura musicale...

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Da sabato 15 a giovedì 20 dicembre sarà in scena al Teatro di San Carlo di Napoli una delle storie più controverse e affascinanti della letteratura musicale russa: Kát’a Kabanová, di Leos Janácek, autore anche del libretto. Sul podio, alla guida dell’Orchestra e del Coro (istruito da Gea Garatti Ansini) del Teatro di San Carlo, il direttore musicale Juraj Valčuha. La regia è a firma di Willy Decker, la produzione è della Staasoper di Amburgo e viene presentata per la prima volta in Italia.


«Janácek si interessava alla melodia della lingua parlata, - afferma Valčuha - la sua era quasi un’ossessione: osservava il rapporto fra il significato delle parole e il loro suono. Quando camminava per le strade aveva sempre un taccuino su cui scriveva frasi brevi o solo alcune parole che sentiva, e insieme annotava le loro melodie e i loro ritmi. Questo gli ha fatto pensare alla musica, e specialmente alla musica vocale, in un modo molto diverso dagli altri».

Willy Decker ambienta la storia di Katerina Kabanovà in un passato indeterminato ma non troppo lontano, in un mondo claustrofobico di lana nera e gessato. Le scene e i costumi – netti e in gran parte monocromatici – di Wolfgang Gussmann rispecchiano l’oppressione dei personaggi imprigionati in una sola stanza, di legno, grigia, scarsamente arredata, a volte aperta per rivelare il cielo che però è sempre oltre, fuori portata.

Il libretto, dello stesso Janácek, ispirato al dramma di Ostrovskij Groza, mostra il vivo interesse del compositore per la cultura e la letteratura russa e una particolare attenzione per le modulazioni della lingua, con un tentativo di restituzione delle inflessioni del parlato, che rende il testo di difficile traducibilità. Emerge, inoltre, una ricercata aderenza al reale che porta il personaggio di Kát’a a imporsi come emblema della lotta alle stringenti convenzioni imposte dalla società, pagando con la vita il prezzo di un’agognata indipendenza.

L’idea di mettere in musica un testo carico di forte realismo psicologico arriva al compositore e librettista ceco su suggerimento di Václav Jirikovskij, direttore del teatro di Brno, dove avvenne la prima rappresentazione nel 1921, ma è soprattutto dettata dalla sua esperienza biografica, dal momento il personaggio di Kát’a è disegnato su modello dell’amata Kamila Stösslová.

Lo stesso Janácek scrisse in una lettera a lei indirizzata: «Ho incominciato a comporre una nuova opera. La protagonista è una donna, di carattere molto mite ... basterebbe un colpo di vento a trasportarla via, per non parlare della tempesta che si riversa su di lei». Lo scenario nel quale ha luogo la vicenda è marcatamente dicotomico: al tormento che affligge l’Io protagonista, corrisponde l’idillio rappresentato da una Russia immersa in “silenzio e pace”.


In scena – tra gli interpreti - i soprani Pavla Vykopalová e Barbara Haveman, nei panni di Katerina Kabanová, il tenore Ludovit Ludha (Tichon Ivanyč Kabanov), il contralto Gabriela Beňačková (Marfa Kabanová), i tenori Misha Didyk e Magnus Vigilius (Boris Grigorjevič), il basso Sergej Kovnir (Savël Dikoj), il mezzosoprano Lena Belkina (Varvara) e il baritono Boris Stepanov (Kudrjás).
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Il Mattino