E poi la voce del serio, serissimo compositore di musiche di confine, come chiamiamo oggi quella che un tempo dicemmo «avanguardia», si fa allegra, gioiosa, come...
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Il nastro ritrovato «fu donato da Luciano a Eugenio prima che diventasse il suo interprete prediletto. Ma Eugenio aveva dimenticato di averlo, me l’aveva affidato tra le sue cose da digitalizzare, esternamente non riporta diciture di alcun tipo». All’ascolto spuntano bordoni ripetuti, raga indiani, la chitarra in primo piano, istruzioni impartite ai musicisti a microfono acceso: «Cilio non scriveva la musica, quindi prendeva così appunti delle composizione che stava creando. Ascoltando quelle note è come andare indietro nel tempo, in un tempo che nemmeno sapevi che esistesse. C’è un pezzo raga, c’è una cosa quasi jazz con il contrabbasso, la musica di Luciano si sta formando, l’artista ferma le sue idee su nastro anche per usarlo come memento: il suo primo lp è ancora lontano dal prendere la forma che conosciamo, ma qualcosa c’è già qui dentro, una forma primordiale del disco, i sitar scompariranno, ci sono bordoni ripetuti tra solarità mediterranea, cose con riverbero, quasi esperimenti elettronici». Cilio consegnò a Fels quel nastro, ha ricostruito il teorico della musica «no-border», «come una sorta di biglietto da visita, voleva farsi conoscere. Divennero amici, Fels sarà poi il suo esecutore di fiducia. Eugenio è trasecolato quando gli ho fatto ascoltare il nastro dimenticato, che abbiamo datato tra il ‘75 e il ‘76. Cilio stava esplorando i suoi “Dialoghi del presente”, dentro ci sono momenti superati, altri che sono mera testimonianza del suo modo di lavorare, ma anche sorprese emozionanti, commoventi, e non solo perché questi suoni sono la macchina del tempo che ci porta indietro di 41-42 anni nel bel mezzo dello sturm und drang creativo di una artista geniale quanto fragile».
E ora? De Simone e Fels sono entusiasti del ritrovamento, quanto incerti sul da farsi: «Io ho lavorato a lungo sui materiali di Cilio, li ho suonati, li ho rimessi in circolazione anche su disco, ma ora non saprei come usare queste note. Mi piacerebbe, di sicuro, presentarle al pubblico, quel poco che è ancora curioso verso le avanguardie, le musiche di confine, i suoni non omologati. Penso a un incontro, a un ascolto condiviso, poi... Un disco? Deve avere un senso, sarebbe bello se, almeno ora, Napoli riuscisse a fare qualcosa per un artista che non ha compreso in tempo». E se fosse un documentario? La storia da raccontare c’è, la colonna sonora pure, i testimoni di quella stagione non mancano. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino