Max Pezzali al Palasele di Eboli: madeleine pop della nostalgia canaglia

L'amarcord di canzoni che già erano a loro volta degli amarcord può apparire spiazzante ma i tredicimila di Eboli se lo godono senza freni

Max Pezzali al Palasele di Eboli
Il tour che Max Pezzali ha messo in piedi per continuare a festeggiare, dopo San Siro, i suoi primi trent'anni di carriera (che ormai sono 31), è approdato per due sere...

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Il tour che Max Pezzali ha messo in piedi per continuare a festeggiare, dopo San Siro, i suoi primi trent'anni di carriera (che ormai sono 31), è approdato per due sere al PalaSele di Eboli confermando, nel tripudio generale, il cortocircuito su cui è fondato.

A 55 anni, l'ex ragazzo di Pavia ha costruito una scaletta «only hits» destinata a sollecitare la nostalgia canaglia delle generazioni cresciute con i tormentoni implacabili degli 883, che, a loro volta, non erano altro che canzoni dell'eterno rimpianto, dei bei tempi andati. Se «Hanno ucciso l'Uomo Ragno» (1992) è l'inno fumettistico della fine dell'adolescenza, uccisa non si sa da chi né perché insieme a SpiderMan (si può dire ancora in inglese?), «Gli anni» (1995) rimpiange la stessa stagione, usando come prime madeleine proustiane addirittura i Fifties: «Gli anni d'oro del grande Real/ gli anni di Happy days e di Ralph Malph», dove l'ultimo era uno dei personaggi più timidi e sfigati della serie televisiva con Fonzie e Richie Cunningham.

La poetica provinciale di Pezzali, ricordata dal palco quando prima di «La regola dell'amico» rivendica di aver in qualche modo previsto la logica della «friendzone», gli permette di giocare con gabbie spaziotemporali semplici, dirette, efficaci, proprio come la grafica dei visual, autentica macchina alla ricerca del tempo perduto.

L'amarcord di canzoni che già erano a loro volta degli amarcord può apparire spiazzante, ma le oltre tredicimila persone radunatesi nelle due serate ebolitane se lo godono senza freni, compresi The Jackal, seduti in platea. Così il karaoke collettivo inizia con «Sei un mito» e procede spietato, implacabile, ineludibile, con successi come «La regina del Celebrità», «Rotta per casa di Dio», «Come mai» (una delle rare ballad in una scaletta forse un po' troppo monotona da un punto di vista sonoro, accelerata, sospesa tra dance e rock: nemmeno la parentesi acustica cambia davvero l'atmosfera generale), «La dura legge del gol», «Nord Sud Ovest Est», «Tieni il tempo»...

Non mancano i brani del Pezzali solista, post-2004, come «L'universo tranne noi», ma la celebrazione preferisce occhieggiare al passato più remoto, recuperando in un medley «Non me la menare», «Te la tiri» e «6 uno sfigato». Max tiene il palco non proprio come un animale da palcoscenico, sembra quasi l'ex ragazzo della porta accanto e la sua normalità è quello che più piace, il suo impegno vocale è condiviso a piè sospinto dal coro della platea, che vive ogni brano, ogni verso, ogni immagine sullo schermo come una pagina della propria biografia collettiva. Quasi a dire, a dirsi, a dirci, che sono ancora «gli anni del tranquillo siamo qui noi, siamo qui noi». Anche se il bar dove inizia la canzone non lo frequenta più nessuno. C'est la vie. 

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Il Mattino