Michael Bublé, è Higher il nuovo disco: «Sono le canzoni a scegliere me»

Michael Bublé, è Higher il nuovo disco: «Sono le canzoni a scegliere me»
Al suo undicesimo album, dopo 75 milioni di dischi venduti e 4 Grammy Awards, Michael Bublé ci spiega di essersi «finalmente lasciato andare» per...

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Al suo undicesimo album, dopo 75 milioni di dischi venduti e 4 Grammy Awards, Michael Bublé ci spiega di essersi «finalmente lasciato andare» per «Higher», il suo disco appena uscito, che pure ogni tanto si perde in suoni innocui, inutili al servizio della sua voce così «classica».

Che cosa è successo, Michael, che cosa è cambiato?
«La pandemia mi ha aiutato a lasciami andare, a mettere insieme la mia voce con grandi canzoni, a restare me stesso, ma anche a cercare delle novità, senza forzature, mai».

Siamo ancora una volta di fronte a un lavoro «ibrido», tra cover e inediti, l'arte del crooner e quella del cantante pop. C'è il Dylan di «Make you feel my love», il McCartney di «My Valentine», il Sam Cooke di «Bring it on home to me», il Barry White di «You'r the first, the last, my everyting», ma anche standard come «A nightingale sang in Berkeley square» e «Smile». Come sceglie le canzoni da cantare?
«Non le scelgo, vengono loro da me, esistono e vogliono vedere come suonano con la mia voce. O è la mia voce che vuole vedere come suona con loro».

C'è un duetto molto speciale, a proposito di standard, «Crazy», divisa con Willie Nelson.
«Lui è da sempre uno dei miei eroi musicali, con Ray Charles, Frank Sinatra, Dean Martin, Sam Cooke: loro sono le voci, i narratori, gli esempi. Sarà un simbolo del miglior country, ma è anche un maestro di standard, quella canzone per me ha sempre avuto il suo tono unico: sono amico di suo figlio, ora sono diventato anche suo amico. Mi piace scrivere canzoni, ma non dimentico mai che la mia audience mi chiede di portare avanti l'eredità dei miei eroi. Resto un interprete del great american songbook. Quando scelgo un brano vuol dire che lo amo e lo voglio cantare per tutta la mia vita».

Com'è andata, invece, la scrittura di «Higher» con Ryan Tedder, autore e produttore di gente come Madonna, Lady Gaga, Adele, Beyoncé...?
«È andata benissimo tra di noi, ma anche al debutto del singolo nelle radio, direi. Io sono bravo a fare dischi standard, ma con lui, con produttori come Greg Wells, e Bob Rock e tutti gli altri, mi sono affacciato sul pop, sentendomi sempre in famiglia: questo è un disco gioioso, nato con gioia, nella gioia».

E con Macca?
«Siamo partiti dalle email scambiate con i suoi collaboratori, poi gli ho chiesto di produrre lui la mia cover del suo pezzo: non era una richiesta tanto per lavorare con una leggenda come lui, ma per quello che lui poteva aggiungere alla mia musica. Paul è straordinario, un talento unico, una persona umile: credo che un docufilm come Get back spieghi che il genio dei Beatles era lui. Ricordo un'intervista in cui gli chiedevano se era Lennon il Beatles più creativo. Lui rispose che John era un musicista incredibile, come George Harrison, come Ringo Starr, ma anche che sapeva che cosa aveva fatto lui: Non lo dico alla gente, ma quando mi guardo allo specchio lo so».

Non c'è l'Italia nel tuo tour pronto a partire.
«Ci sarà, non dimentico che quando in America non ero nessuno, in Europa mi volevano e in Italia scoppiava la mia versione di Moondance. In questo periodo è più difficile organizzare i concerti, ma ci vedremo presto».

Ora aspetta il quarto figlio, ma come sta il primogenito Noah?
«Lui sta bene, ha otto anni, noi tutti stiamo bene, siamo sopravvissuti e io sono così grato...»

Michael si commuove, nel 2016 annullò tutti i suoi impegni per seguire il figlio, che soffriva di un tumore al fegato, e nel 2018 annunciò addirittura il ritiro: «Non piango per il dolore, ma per la gioia, per l'amore che mi ha salvato, che ha salvato tutti noi. Io non sono speciale, tutti passiamo attraverso cose terribili, la pandemia ha portato via tante persone, ma dalle lezioni delle vita ho imparato ad amare l'amore, ad essere compassionevole, a pregare Dio che ci lasci la salute. È un bel periodo per me, l'unico problema è che un tempo ero un crooner compassato, oggi non ho controllo: vedete le mie emozioni come vengono a galla dopo vent'anni di carriera».

Visto lo schiaffo di Will Smith a Chris Rock nella notte degli Oscar?


«Quello che è successo non doveva succedere. Forse Chris non doveva dire quello che ha detto, di sicuro Will non doveva alzare le mani. So che per il cinquanta per cento delle persone ha fatto bene, io sono shockato da questo fatto. Ma non seminiamo odio contro nessuno, Smith è una persona che non ha la pace nel suo cuore, in quel momento è esploso. Ricominciamo dall'amore, lasciamo perdere gli hater. Sono sicuro che se Will potesse tornare indietro non lo rifarebbe, ma non so io, che amo così tanto mia moglie, come avrei reagito in quella situazione».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino