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«Que soy era Immaculada Councepciou». La Signora vestita di bianco con due rose gialle sui piedi aveva parlato così, in occitano, alla giovane Bernadette che non aveva capito l'importanza di quella rivelazione. E l'altra sera, l'antico dialetto degli Alti Pirenei è tornato a risuonare in musica nella esplanade del santuario di Lourdes, a pochi metri dalla grotta di Massabielle, la grotta delle apparizioni. Qui dove si raccolgono i dolori del mondo e milioni di pellegrini cercano rifugio ai loro tormenti, le note di un inno tradizionale a Maria con le voci dei cantori di Tarbes e dei Montagnardes di Lourdes, si sono miscelate con un canto basco e con la preghiera alla Vergine di una madre e una figlia e dei coristi del teatro dell'Opera nazionale Ucraina scampati alle bombe su Kiev: «Santa Madre di Dio, ascoltaci. Con la tua mano onnipotente proteggici dai nemici che ci opprimono».
Sul podio della sua Orchestra Cherubini, Riccardo Muti sembrava particolarmente emozionato. «Sì», ammette, «ci sono stati momenti di grande intensità e religiosità sostenuti da una musica sublime. Mettere insieme la cultura occitana con quella basca e le difficoltà attuali dell'Ucraina con Verdi, in una realtà come quella di Lourdes con tutte le sue implicazioni religiose, è stata una sfida particolarmente audace, ma riuscita».
Il maestro napoletano ha scelto infatti quest'anno la città mariana come prima tappa delle «Vie dell'amicizia» (la seconda sarà Loreto, domani, e Raiuno registrerà l'evento per trasmetterlo il 6 agosto), il progetto del «Ravenna festival» che dal 1997 porta attraverso la musica un messaggio di pace nelle terre particolarmente colpite da conflitti e difficoltà dei nostri giorni. Dalla New York ferita alle Torri Gemelle a Damasco, Erevan, Kiev... «Eravamo lì nel 2018, non potevamo immaginare quel che sarebbe accaduto pochi anni dopo, con noi suonarono anche ragazzi di Mariupol» sottolinea Muti, che già dal podio della Chicago Symphony, la sua orchestra americana, aveva alzato la voce contro l'invasione russa. Sua moglie Cristina, con la sua forza persuasiva, aveva agito prontamente. Era andata ai confini con l'Ucraina e poi portato in Italia, a Ravenna, alcuni musicisti ucraini che quattro anni fa avevano suonato col maestro.
Gli stessi che l'altra sera sono stati tra i protagonisti del grande concerto di Lourdes con il loro direttore Bogdan Plish, ospite ieri pomeriggio della recita del Rosario in italiano alla Grotta, trasmesso su Tv 2000 con un suggestivo canto mariano.
Così, per una sera, per la prima volta nel parco del santuario, i malati di Lourdes hanno vissuto l'esperienza straordinaria della musica classica live davanti a una orchestra. Tanti in carrozzella, qualcuno col suo lettino, altri accompagnati dai fidi barellieri e dalle crocerossine come nelle processioni e nei flambeau notturni, hanno applaudito a lungo Muti, accolto dal vescovo di Tarbes Jean-Marc Micas e dal sindaco Thierry Lavit. Un momento di commozione ed entusiasmo ha scatenato la presenza sul palco di uno di loro, il cornista Felix Klieser che, nato senza braccia, suona con l'aiuto di un piede ed ha eseguito il «Concerto n.1 per corno e orchestra» di Mozart, finito con una standing ovation. In locandina anche il «Magnificat» di Vivaldi, lo «Stabat» e il mastodontico «Te Deum» dai «Quattro pezzi sacri» di Verdi con la voce solista di Arianna Vendittelli.
Nel finale, poi, mentre qualcuno ha acceso una fiaccola al passaggio della statua della Vergine, il breve mottetto mozartiano «Ave verum corpus» coi bambini delle scuole di Tarbes e di Lourdes. «Una musica scritta da Dio», l'ha definita Muti che l'ha scelta per concludere la serata, una sorta di preghiera che si è alzata al cielo dal sagrato della Basilica del Rosario insolitamente chiuso ai riti religiosi e destinato alla musica: «Perché l'intero concerto aveva l'intenzione di mettere in evidenza la capacità della musica di colpire al cuore, di evocare la pace e la fratellanza, perché è una lingua senza frontiere. Lo spiega in maniera mirabile Dante, nel Paradiso: E come giga e arpa, in tempra tesa/ di molte corde, fa dolce tintinno/ a tal da cui la nota non è intesa,/ così da' lumi che lì m'apparinno/ s'accogliea per la croce una melode/ che mi rapiva, senza intender l'inno».
Il direttore ha puntato al cuore degli ascoltatori con l'amato Verdi che nel finale del «Te Deum» invoca il Signore perché conceda misericordia «al modo in cui abbiamo sperato in te». «Ho voluto», dice, «ridare dignità a Verdi, uno dei padri della nostra civiltà musicale, cui non sempre facciamo un buon servizio in nome di una falsa italianità. Verdi non è sangue, arena e zun-pa-pa. L'italianità è altro: sono le radici di una città come Napoli dove sono nato e mi sono formato, la sua poesia, la musica di Alessandro Scarlatti e di Paisiello, il San Carlo di Rossini e Donizetti, una enciclopedia di saperi diversi che fanno grande la nostra cultura nel mondo. Per ricordare a coloro che non hanno ancora capito quanto è importante la bellezza».
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