Una donna con gli occhiali da vista appoggiati sulla fronte, che spariscono nei capelli mesciati. Ha indosso una canotta da casa con sopra disegnate due palme caraibiche. Esibisce...
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Ne viene fuori una piccola galleria dell'immaginario di queste ore del premio Oscar: lampi di luce su Napoli, didascalie, hashtag che, come i puntini della Settimana enigmistica, ci si può divertire a unire per capire se emerge una traccia narrativa, i pezzi di un puzzle che un giorno sullo schermo troveranno un ordine di trama, o anche no, visto che ormai, per Sorrentino, come per i grandi visionari, il racconto è lo sguardo.
I suoi occhi si posano così sul cimitero di Fuorigrotta. Un cassonetto dei rifiuti viola, il colore dei paramenti sacri della morte (e della Quaresima), e anche quello che porta sfortuna ai teatranti. Sullo sfondo una parete di tombe. Diciotto loculi in ordine di sei, con tanto di fiori, foto, e l'asfalto arso di agosto. Non si leggono i nomi e probabilmente il senso è proprio quello di una comunità silenziosa di presenti/assenti, a cui qualcuno ha voluto regalare, proprio sul cassonetto viola, una scritta fuori contesto. «Juve merda», è graffitato su quel contenitore, e merda viene sottolineato, per essere precisi. A chi può essere mai venuto in mente di entrare in un cimitero con una bomboletta di vernice e scrivere una cosa così?
Non sorprende il riferimento di Sorrentino al calcio. «Thank you to my sources of inspiration: Federico Fellini, Talking Heads, Scorsese and Diego Armando Maradona», disse il regista vomerese, ormai a Roma da decenni, quando nel 2014 ritirò l'Oscar 2014 per il miglior film straniero per «La grande bellezza». E la mente torna allo scudetto del Napoli, quando comparve uno striscione all'esterno del cimitero di Poggioreale («Che vi siete persi») con subito sotto un'altra scritta («E chi ve l'ha detto?»). La morte e il calcio, che potrebbero essere due punti cardinali di questo «film intimo e personale, un romanzo di formazione allegro e doloroso». La morte dei genitori, nella casetta di Roccaraso, uccisi dal monossido di carbonio di una stufa, e la salvezza del regista che, a 16 anni, non era in quella casa solo perché andò a Empoli a vedere una partita del Napoli.
Intanto, nella galleria Instagram del regista viene immortalata anche una sequenza di magliette dei campioni del Napoli in una pizzeria di Santa Lucia. E ancora compare Daria D'Antonio su una scala, a guardare nell'occhio della macchina da presa. «Nuovo film, nuovo Dop», scrive Sorrentino, annunciando il nuovo direttore della fotografia. Non Luca Bigazzi ma una sua allieva, già in mostra nella serie Sky, «Il miracolo», e sorella di quella Daniela che del regista napoletano è la moglie.
Gli occhi di Sorrentino sulla Napoli di queste ore spaziano anche sui panorami più classici: il Vesuvio, il mare, uno stormo di gabbiani che si alza contro il sole al tramonto. E poi una incursione sull'attualità. Il virus. La pandemia. Un tocco lieve: una mascherina chirurgica che penzola dallo specchietto retrovisore di un'auto. Potrebbe essere una qualunque città. Ma è Napoli. Lo dice il regista. E chi lo conosce sa che tutto ciò che appare casuale, nel suo sguardo, non lo è. E prima o poi trova un senso.
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Il Mattino