«E che bello il mio tempo, e che bella compagnia», cantava Fabrizio De Andrè in «Anime salve». Ed il loro tempo, quello che c’era prima, e la...
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Formidabili questi anni, Fausta?
«Anche di più: non rimpiango niente, o quasi, e sono felice. Tutti dicevano che il folk revival ci deve tutto, ma non volevano scommettere su di noi. Ma poi abbiamo ritrovato il nostro primo produttore artistico, Renato Marengo, e Rolando D’Angeli ha investito su di noi. Ora c’è un doppio cd, uno di inediti e uno di nostri antichi successi, e un nuovo tour che ci vedrà sul palco con gli Osanna: una festa».
Il disco è anche la cronaca di una reunion parziale.
«Abbiamo ritrovato Carlo ed Eugenio, che avevano dato inizio a tutto, e mai avremmo potuto immaginare che quella con D’Angiò sarebbe stata la sua ultima registrazione: scoprimmo solo quando Bennato ce la portò che stava così male da essersene andato prima di veder realizzato il disco».
La sua voce in «Madonna de la Grazia» è uno sforzo commovente di estrema testimonianza militante sul fronte della musica popolare. Bennato compare anche nella ripresa di «Ricciulina», villanella dedicata a un’antica prostituta. E Patrizio Trampetti torna al vostro fianco in «La morte de mariteto», che porta la firma di De Simone: l’assenza più pesante.
Sfogli: «Il maestro è come un genio che divora i suoi figli fortunati, come noi. Ma rimane un faro a cui dobbiamo tanto tutti».
E Barra?
Vetere: «Non ha potuto, o voluto, essere con noi. Però avevamo fatto una bella reunion in occasione del suo settantesimo compleanno».
E Mauriello?
«Credo sia stato condizionato dall’assenza di De Simone».
Però ci sono nuove compagnie.
«Innanzitutto, e qui parla anche la mamma, c’è Marco Sfogli, figlio mio e di Corrado, nuovo chitarrista della Pfm: ha messo l’elettricità e il prog rock in un nostro classico come “In galera li panettieri”, in cui ci sono anche Tullio De Piscopo e Lino Vairetti degli Osanna».
E poi c’è Pasquale Ziccardi la cui ugola, acida e scomoda un po’ come lo era quella di D’Angiò, spicca al fianco della tua calda, matura, profonda. Nella tammurriata «Napulitane»; in una rilettura della «Tarantella del Gargano» che proprio Carlo rilanciò per primo; in «Pascali’», storia di un musicista errante, libero come uno zingaro.
«Pasquale è maturato molto anche come autore, e si sente, il suo contributo è importante. Tra gli inediti ci sono canti sull’immigrazione come “Ma pecchè”, d’amore come “Meu core”, processionali come “Fujenti”».
E lo strumentale «Posillipo».
Sfogli: «Volevo ricordare la grande scuola chitarristica di Eduardo Caliendo, di cui sono stato allievo con Mauro Di Domenico e Lucio Matarazzo».
Nell’altro disco ci sono pezzi celeberrimi come «Cicerenella» e «Tammurriata nera» che nel 1974 vi portò persino in hit parade.
Vetere: «Nessun paragone con il passato, solo tanta voglia di continuare la nostra strada».
In fondo, i due dischi è come se chiudessero la diatriba con D’Angiò e Bennato, sulla musica popolare o in stile popolare: qui ci sono tutte e due.
«Carlo se n’è andato troppo presto. Dalla Nccp, per pressioni familiari, visto che suo padre preferiva un ingegnere a un musicista, oltre che per esigenze artistiche, ma soprattutto da questa terra. Inevitabilmente, il disco è dedicato a lui».
«E che grande questo tempo, che solitudine, e che bella compagnia», per dirla ancora con Faber quando scriveva con Fossati. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino