«Trenta coltellate, quasi 400 punti di sutura, il tendine di una mano reciso, gola e pancia squarciate. Mi guardavo, così ridotto, e pensavo: sono morto eppure...
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Roberto, tornare all'Elicantropo acquista oggi un significato particolare.
«È la casa di un vero amico, facevo teatro con lui già quando avevo 20 anni; ma il mio è un doppio ritorno. Domani presenterò un monologo di Cristian Izzo, Scarrafunera. Il 7 dicembre, stavolta al Ridotto del Mercadante, avrò un rientro... come dire... più istituzionale con Oscar Wilde, il processo, che replico da sette anni. Sono stato il primo a mettere in scena le carte della causa che gli intentarono per la sua omosessualità. È lo spettacolo che mi rappresenta di più».
E «Scarrafunera»?
«È un breve poema in versi napoletani, in cui Izzo immagina uno scarafaggio che prende coscienza della propria inferiorità e, per tentare di riscattarsi, decide di uscire dalla tana e vedere quel che accade al piano di sopra, nel mondo. Ma scopre che tra i due universi non c'è, poi, molta differenza. Lo scarrafone crede di fare chi sa che, mentre resta sempre là dov'è. Per lui partire e muoversi sono la stessa cosa, mentre per muoversi veramente ci vuole il pensiero. Anche al piano di sopra spesso domina l'immobilità. Si fa un gran trambusto, ma quanti veramente agiscono e con efficacia? La coscienza, poi, lo induce a riflettere sul destino e sulla fine e, dunque, sulla bellezza della vita proprio quando sta per terminare. Così è stato per me... Mentre quello mi colpiva, ho finto di essere morto, pur di fermarlo. Ma non sono stato un bravo attore. Ho recitato male e lui mi ha infilato il coltello nel polmone e mi ha colpito alla testa con una pietra».
Che cos'altro ha pensato in quei momenti?
«Innanzitutto, che non potevo andare all'altro mondo. Sarei diventato l'assassino di mia madre, che alla notizia sarebbe morta. E, poi, che rispetto a tanti altri almeno sarei stato il primo a sapere se esiste l'aldilà. Sembra una battuta, ma è tutto maledettamente serio».
E le riflessioni di oggi?
«Tutti mi dicono: Per fortuna puoi raccontare quel che ti è accaduto, sei qua, tra noi. Sì, ma la vita, prima o dopo, dovrà rispondere alla domanda che oggi non ha risposta: perché mi è successo tutto questo? Perché?».
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Il Mattino