Sanremo, con Elio e le Storie Tese la canzone del femminiello napoletano

Sanremo, con Elio e le Storie Tese la canzone del femminiello napoletano
Non c'è due senza tre. Nel 1996 erano stato i vincitori morali (e secondo loro e i carabinieri anche pratici, retrocessi poi al secondo posto solo per far vincere il...

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Non c'è due senza tre. Nel 1996 erano stato i vincitori morali (e secondo loro e i carabinieri anche pratici, retrocessi poi al secondo posto solo per far vincere il più sanremese Ron di «Vorrei incontrarti tra cent'anni»). Nel 2013 erano stati i vincitori morali con l'ironia miscredente di «Dannati forever» e soprattutto quella musicologica con messa in scena alla Monty Python di «La canzone mononota». Quest'anno Elio e le Storie Tese tornano a Sanremo come vincitori annunciati: «Vincere l'odio» non è una canzone, ma un collage di sette canzoni in una, una demenziale dichiarazione d'amore per un femmeniello oversize che, in un gioco delle concatenazioni logiche ci porta a Napoli, e quindi al San Paolo.


Poi il flusso di (in)coscienza si allontana fino a Kathmandu tra vini calabresi richiestissimi in Nepal. Lui/lei è burbera ed esotica come il topinambur, quindi «Topinamburbera», un pezzo di donna/uomo da novanta chili ma con il cuore d'oro che dice ”«no no no», poi «forse forse forse», quindi si lascia prendere e si abbandona a un pelapatate. Un pastiche da sunto di operina buffa postmoderna: si inizia in stile anni Sessanta, poi arrivano echi oleografici-neomelodici: «Femminiello che vivi a Napoli/ coi problemi presenti a Napoli/ femminiello di una metropoli sul mare chiaro/ femminiello ma quanti ostacoli/ nel tuo cuore disperso a Napoli/ per fortuna che poi c'è il Napoli/ al San Paolo di Napoli».


La querelle Mancini-Sarri non c'entra nulla per ovvi motivi, e poi qui basta nominare lo stadio per trovarsi di fronte un altro San Paolo, quello convertito sulla strada di Damasco: «per fortuna che il Signore ti è apparso/ perché tu perseguitavi i cristiani/ e giustamente lui ti ha detto stop stop stop». Un nonsense politicamente scorretto, che si traveste man mano da kitsch ecclesiastico, country de noantry, rock'n'roll e sigla televisiva («Sarà capitato anche a voi di avere una canzone in testa, brutta, brutta)». Un germe immesso per autodistruggere il Festival dall'interno, non fosse Sanremo la terra dei cachi che tutto digerisce e piega al proprio interesse. Così l'ultimo sberleffo guarda a chi alla canzonetta chiede di essere qualcosa di più: «E il messaggio che noi qui vogliam comunicar con questi ritornelli è: vincere l'odio», intonando il tutto con il piglio del tonitruante Massimo Ranieri di «Perdere l'amore» e il cipiglio dietro cui si nasconde la band più mattacchiona d'Italia. Gli Eelst non si prenderanno sul serio e, soprattutto, non prenderanno sul serio nemmeno la gara e gli spettatori, nemmeno nella serata delle cover quando aggiungeranno un testo in italiano - titolo «Il quinto ripensapemento» - alla Quinta di Beethoven nella versione disco firmata da Walter Murphy per «Saturday night fever».
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Il Mattino