Racconta Terence Hill che il giorno in cui seppe della scomparsa del suo amico Bud stava cercando la location giusta per il suo film. Dopo la tragica notizia e il primo sconforto,...
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Di nuovo alla regia dopo tanti anni.
«Avevo bisogno di mettermi a fare ciò che amo, il cinema. Sono un tipo piuttosto preciso, e avere il tempo per dedicarmi alla scelta di attori e atmosfere giuste mi serve prima come uomo che come professionista. Poi per me la storia si è riempita di significati speciali: è stato proprio lavorando a questo film che ho saputo della morte di Bud. Stavo scegliendo una location che fosse il simbolo del film. Qualcosa come la casa di Psycho, per intenderci. In quel momento mi arriva la telefonata dal figlio di Bud, diceva che il mio amico non c'era più. Sulle prime ho pianto, mi sembrava di aver perso casa. Poi si è fatto largo un sorriso: avevo trovato il posto e Bud me lo stava dicendo. Una montagna con due baracche. In una ci finisce il mio personaggio, Thomas. Nell'altra Lucia, la giovane che proteggerò dai cattivi e con cui diventerò amico».
Il film è denso di citazioni della sua carriera.
«Ogni volta che si fa un'operazione narrativa si finisce per parlare di sé. Perciò si ritrovano richiami alle cose a cui ho lavorato. Ma è in fondo più la storia di un'amicizia inattesa, e di un viaggio che continua sempre».
Torna in luoghi, come il deserto dell'Almeria, dove ha girato molti western.
«È stato come tornare a casa. Sono luoghi mistici per l'ambiente e mitici per il cinema. All'epoca si facevano centinaia di produzioni ogni anno, toccava mettersi in fila».
Facevate film di cassetta e di altissima qualità.
«Facevamo un cinema tra amici, soprattutto. Dove ci si divertiva e si aveva il tempo per lavorare bene alle scene. Questa assenza di ansia da successo credo arrivasse nitidamente al pubblico. E continua a farlo: so che i nostri film hanno sempre un'ottima audience. E se gli Oliver Onions sono di nuovo in tournée qualcosa vorrà dire».
I suoi registi di riferimento?
«Sergio Leone, chiaramente. Il suo Mezzogiorno di fuoco è tra i miei preferiti. Come Il Gattopardo, dove recitai una parte. Ma mi piace anche Lars Von Trier: dal suo Melancholia mi sono ispirato per la colonna sonora di Il mio nome è Thomas».
E con Napoli che rapporto ha?
«Ho almeno due motivi per amarla: il primo è, di nuovo, perché è la città natale di Bud. Ci teneva molto a ribadire la sua napoletanità e mi divertiva sentirlo parlare in dialetto, col suo vocione di uomo buono. Poi qui ho girato i miei primi film, da Vacanze col gangster ai musicarelli come Guaglione con Villa e Lazzarella con Modugno». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino