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«Themagogia» e l'intera operazione si collocano tra l'omaggio alla canzone d'autore, lo scherzo alla «Tale e quale show» e una strategia comunicativa vischiosa, che ha ricevuto anche l'avvallo doc di Dori Ghezzi, pronta a dirsi divertita e incuriosita dall'intervento di The Andrè, che potenzialmente dovrebbe fare proseliti anche in area trap. «Temevo ci fosse una reazione molto negativa nei miei confronti», spiega l'artista mascherato, «e invece ci siamo conosciuti e Dori mi ha anche invitato alla presentazione di un suo libro, per cantare un paio di brani. E pure con Cristiano è andata bene: i primi ostacoli sono stati superati».
Ma quanto c'è, ci si scusi il gioco di parole, di De André in Theandrè? «Io sono cresciuto e mi sono formato sui suoi dischi, il mio pensiero e il mio modo di essere si rispecchiano in lui, con tutti i limiti e il rispetto del caso. Il legame è fortissimo e da ragazzo cantavo i suoi pezzi, che non mi hanno più abbandonato. Mi ritrovo nel suo messaggio, anche se in questo mio primo album non c'è niente della sua produzione. In appena un anno le trasformazioni, i cambiamenti sono stati ampi e non posso dire di essermi fermato: appartengo a un mondo che cerco di frequentare in modo originale, anche tra rielaborazione e traduzione libera di materiali altrui. Ma tra Marito, che nasce da Mi sono innamorato di tuo marito di Cristiano Malgioglio e Madonnina, che ho tratto dalla celeberrima O mia bela madunina di Giovanni D'Anzi, ci sono anche due canzoni totalmente mie, Originale e Una canzone indie, che mi consentono di guardare al futuro. Qualcosa più di un esperimento».
Il cappuccio della felpa, però, non vuole toglierselo, il mistero rimane: «Vivo nell'utopia e nell'idealismo che siano i contenuti, la musica, la parola a contare veramente: e dunque non credo che aggiungere dati biografici o di conoscenza più approfondita possa cambiare il giudizio o le sorti di quello che faccio. Vorrei essere considerato al di fuori dell'immagine e dell'anagrafe. Vediamo se ci riuscirò». Intanto, vince la trap. E il trash: «Ho cercato testi con una risonanza ampia ma che potessero dire qualcosa, non essere solamente divertenti: all'inizio vedevo la trap come un sottoprodotto culturale, ma ci sono cose originali, è un tentativo di espressione. E io sono un demagogo pop: dò al pubblico quello che vuole, il trash, e nel mentre faccio quello che interessa a me». Ovvero riecheggiare l'amico fragile. Grande è la confusione sotto il cielo, chissà se la situazione è davvero eccellente. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino