Il monaco francescano inglese Guglielmo da Baskerville (John Turturro), dotato di una finissima intelligenza e di un acume degno di un investigatore, è stato scelto per...
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Turturro, che cosa l'ha attratta del libro?
«Devo confessare che, prima di ricevere questa sceneggiatura, non l'avevo letto. Poi, però l'ho studiato a fondo e ho passato due mesi di continui contatti su skype con Giacomo, mesi in cui ci scambiavamo note e osservazioni sulla incredibile contemporaneità di questa storia ambientata nel 1327».
Contemporaneità?
«Eco ha inserito nel suo romanzo infiniti temi da esplorare: c'è la filosofia, la politica, la repressione delle donne, il terrorismo, la cultura e la letteratura come mezzi di liberazione dall'oppressione».
Non sarà che stiamo tornando noi al Medioevo?
«Battiato ha notato come il nome del mio personaggio sia, allo stesso tempo, un omaggio a Sherlock Holmes con il riferimento a Baskerville, ma soprattutto a Guglielmo di Ockham, scomunicato perché sosteneva che autorità religiosa e civile dovevano essere nettamente separate perché finalizzate a scopi diversi, così come diversi erano i campi della fede e della ragione. Io posso solo aggiungere che il vero nemico del progresso è la semplificazione del pensiero».
Si spieghi.
«Semplice: se si banalizzano i concetti, se non si approfondiscono mai i temi di cui si parla, abbiamo una narcotizzazione del pensiero critico: la gente perde l'abitudine a farsi e fare domande, e il potere resta indisturbato. Non è un caso che uno dei modi di controllare i popoli sia rendere inaccessibile la cultura, nascondendo i libri e, ai mali estremi, bruciandoli».
Esiste oggi un Guglielmo da Baskerville?
«Temo di no, perlomeno io non l'ho mai incontrato. Probabilmente Eco è stato qualcosa del genere per i suoi studenti, vista la capacità di aprire loro la mente, suggerendo sempre nuove domande e non accontentandosi mai della risposta più semplice».
Lei ha collaborato anche alla sceneggiatura. Ogni volta che affronta un testo letterario lo approfondisce in questo modo?
«Quando è un romanzo di questo livello è indispensabile. L'ho fatto anche per Primo Levi, quando ho interpretato La tregua. Il mio lavoro ha senso solo se riesco a rispettare il testo originale. È estremamente frustrante quando in un film, per i motivi più vari, si finisce col perdere proprio le cose che più hai amato del romanzo da cui è tratto. In questo caso tenevamo a inserire più Eco possibile, mettendo in luce filosofia, religione e scienza. Di Guglielmo mi interessava il processo mentale, perché per lui la conoscenza è una protezione dal potere». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino