Un passo dal cielo, intervista a Enrico Ianniello: «Ci ho preso gusto con la regia»

«Ho voglia di raccontare altre storie e di approfondire la relazione con gli attori»

Enrico Ianniello sul set
Doppio impegno per il casertano Enrico Ianniello nella settima stagione di «Un passo dal cielo» che torna su Raiuno giovedì prossimo, il 30 marzo, per otto...

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Doppio impegno per il casertano Enrico Ianniello nella settima stagione di «Un passo dal cielo» che torna su Raiuno giovedì prossimo, il 30 marzo, per otto serate. Oltre al ruolo del vicequestore Vincenzo Nappi presente sin dall'inizio di questa fortunata fiction, gli è stata affidata la regista dei nuovi episodi insieme a Laszlo Barbo, scelta che segna il suo debutto dietro la macchina da presa in una stagione della serie piena di cambiamenti. Esce dal cast Daniele Liotti ed entrano nuovi personaggi tra i quali Marco Rossetti, ossia Nathan, l'uomo degli orsi), Leonardo Pazzagli, nei panni dello scultore Gregorio, Giorgio Marchesi, Luciano, il potente allevatore locale che minaccia la natura, e Davide Tucci, lo sportivo Hans che mina il rapporto di coppia di Vincenzo con Carolina (Serena Iansiti). Con loro anche Giorgio Marchesi e Rocìo Munoz Morales, Joe Bastianich nella prima serata e Massimiliano Ossini nella sesta.

Nella serie precedente abbiamo lasciato Manuela Nappi, sorella di Vincenzo interpretata da Giusy Buscemi, giovane agente di polizia che ora ritroviamo nelle vesti di ispettrice. La serie, una produzione Lux Vide in collaborazione con Rai Fiction, prodotta da Luca e Matilde Bernabei, è stata girata la scorsa estate nel cuore delle Dolomiti bellunesi.

Enrico Ianniello, come ha accolto la proposta di dirigere «un passo dal cielo 7»?
«All'inizio la proposta mi ha spaventato anche per l'impegno doppio, ma io più di altri conoscevo le dinamiche della serie avendoci recitato sin dalla prima stagione. Dopo le prime settimane di centrifuga, sono entrato nel ritmo e mi sono concentrato sulla relazione con gli attori. Una sfida. Uno dei motivi che mi ha spinto ad accettare. L'attore mette a disposizione del progetto la sua sensibilità e il regista deve creare le condizioni per cui questa sensibilità venga fuori».

Quali sono state le difficoltà del girare in alta montagna?
«Far spostare i materiali con i camion, stare attento a tutti i reparti, gestire le escursioni termine, mettere da parte l'ego e mantenere le linee dei tanti personaggi».

Riscaldamento globale e siccità hanno influenzato il vostro piano di lavoro?
«Sì, abbiamo dovuto cambiare una location per mancanza di acqua. Dal lago di Misurina dovevano uscire dei sommozzatori ma era l'acqua era bassa rispetto alle altre estati e non abbiamo potuto girare la scena. Abbiamo sostituito la location con il lago di Oronzo di Cadore dove c'è una diga ed è più profondo ma, dato che il paesaggio è diverso, abbiamo dovuto cambiare proprio la storia. La nostra troupe è stata molto attenta a rispettare il paesaggio. Dovrebbero preservare l'ambiente per i loro figli. Natura e famiglia fanno parte dello stesso tema. Se vogliamo bene alle nostre famiglie, dobbiamo prenderci cura dell'ambiente. Mi chiedo sempre come avere cura della natura, ma non basta. Mi aspetto che i governi facciamo delle scelte, anche per impedirci di consumare troppo. Mi viene in mente una frase di San Francesco: bisogna usare, non consumare».

Sta già pensando a un'altra regia?
«Ci pensavo anche prima, ma ora che l'ho fatto concretamente ho una gran voglia di raccontare altre storie e di approfondire la relazione con gli attori».

E la scrittura?
«Lavoro a un nuovo romanzo e uno dei personaggi potrebbe essere seriale. Sarà ambientato in Irpinia, una terra strepitosa e poco raccontata. Un uomo torna nei luoghi della sua infanzia, a Morra De Sanctis, paese nativo di Francesco De Sanctis. Nel 1980, quando c'è stato il terremoto, io avevo 10 anni. È stata una frattura. Per me e per molti altri l'infanzia è finita. Intanto La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin è uscito in Corea del Sud, Serbia, Germania e in autunno esce in Brasile».

Da un po' di anni vive in Spagna dove ha portato in scena «Filumena Marturano».


«Sì, con una compagnia catalana. Abbiamo debuttato due anni fa e in autunno saremo in scena a Barcellona per tre mesi. Il mio Domenico Soriano parla un po' catalano, un po' castigliano e un po' napoletano. Mi piaceva questa commistione. Ha commosso tanti spettatori. Una donna mi ha confessato che uscita da teatro ha pianto fino a casa».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino