Vasco Rossi a Napoli: «Avrei voluto scrivere io il blues di Je so pazzo»

Vasco Rossi a Napoli: «Avrei voluto scrivere io il blues di Je so pazzo»
Inviato a Milano L'incipit è di quelli che ci mette la faccia: «Conviene arrendersi all'evidenza. Conviene accorgersi della distanza. Non puoi discuterci con...

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Inviato a Milano

L'incipit è di quelli che ci mette la faccia: «Conviene arrendersi all'evidenza. Conviene accorgersi della distanza. Non puoi discuterci con l'ignoranza», che poi farà rima con «arroganza» canta Vasco Rossi, 69 anni, in «XI comandandamento», il brano che apre il suo diciottesimo album, «Siamo qui», in uscita il 12 novembre, anticipato venerdì dal singolo omonimo. 

E quale sarebbe l'undicesimo comandamento, Kom?
«Non lo so, verranno a imporcelo loro, i populisti che incombono. Non gli basteranno leggi speciali, diranno qualcosa del tipo: ama Trump più di te stesso. Ma anche l'Europa, e soprattutto l'Italia, non sta messa meglio».

Pensi a Forza Nuova, al caos di Roma, alla destra extraparlamentare?
«Certo, ma anche Salvini e Meloni seminano odio solo per raccogliere qualche voto. Si scherza con il fuoco».

Perché arrendersi allora?
«Non riesco più a provare a convincere chi non vuole farsi convincere. Chi va sui social legge solo chi la pensa come lui e poi viene fuori terrapiattista. Per questo mi sono dissociato dal mio antico amico Red Ronnie, che parla di cose che non sa. Ed ora, dicendo che i rapper rovinano i giovani, assomiglia al mio antico censore Nantas Salvalaggio che diceva che io traviavo i ragazzi. L'artista guarda il mondo, magari con occhi profetici, non lo influenza».

Nemmeno un Vasco Rossi?
«La mia musica, le mie parole, possono farti sentire meno solo, riflettere, non di più. Non è che quando De André ha cantato le puttane il giudizio del mondo sulle puttane è cambiato».

Insomma non sei un influencer.
«Qualche volta sì, in musica. Magari avendo detto prima di Sanremo che mi piacevano i Maneskin una mano a vincere gliela ho data. Allora sono l'unico influencer che lo fa gratis, non sono come Sfera Ebbasta che fa la pubblicità a questa o a quella marca. Ai miei tempi se avessi reclamizzato un biscotto mi avrebbero linciato».

Tempi da rimpiangere?
«Prima eravamo illusi, ora siamo delusi. Non avrei mai immaginato un mondo simile: per la tecnologia straordinaria. Per i diritti acquisiti messi in dubbio. Per la pandemia che ci ha travolti mostrandoci fragili, noi e il nostro mondo. Non doveva andare a finire così, non doveva, ma... questo è il mondo che ci tocca, non certo il migliore di quelli possibili. Bisogna pedalare ancora, sino all'ultimo respiro. Anche perché se è ancora vivo Vasco... allora c'è speranza».

Hai avuto paura di morire però.
«Sono morto e poi risorto, mi è capitato anche questo».

Parli della malattia del 2011. Ti sei rialzato senza crisi mistiche.
«L'unico inferno a cui credo è quello della mente. Quello a cui ci condanna la condizione umana. Questo è quello di cui parlo in questo disco, prodotto da Celso Valli per le ballate più pop e Vince Pastano per il materiale più rockettaro. Scritto con Tullio Ferro, Roberto Casini, Gaetano Curreri, Saverio Grandi ed altri».

Chi ti piace dei giovani oltre ai Maneskin?
«Madame, ha una bella voce, canta con la... E anche Blanco».

«Siamo qui» non è solo la title track, è anche un manifesto.
«Il titolo completo doveva essere Siamo qui, pieni di guai. E non pensavo al Covid, l'ho scritta prima».

«Voglio una vita piena di guai», cantavi un tempo.
«Eh, me la sono voluta... Ma questi guai sono... strani, figli di una tecnologia che non sa più cosa farsene degli uomini. Un tempo cantavo anche che volevo godere, godere, godere. Ora so che il godimento è mortifero, che dal no, dal divieto, nasce il desiderio».

Citi Lacan, oltre a Heidegger, Nietzsche, Galimberti, Byung-Chul Han. Ma torniamo alle canzoni: «Siamo qui... soli e delusi... a confondere quello che sei dentro e quello che usi». Come in «Siamo solo noi» e in «Siamo soli» il plurale non è maiestatis.
«Parlo a nome di un popolo. Quello che si ritrova nelle parole scarne che scrivo. Che le ascolta e scopre di condividere le mie fragilità. Io sono sincero solo quando scrivo, mi metto a nudo solo sul palco».

A proposito, ti è mancato in questi due anni?
«Di più. Ho provato a trovarmi degli hobby, dai cavalli al golf, ma per me esiste solo la musica. Abbiamo rimandato il tour dal 2020 al 2021, ed ora al 2022, aggiungendo nuove date, 11 in tutto. Non vedo l'ora».

Si dice che obbligassi chi ti voleva parlare ad indossare la mascherina.
«Non sono un cattivo maestro, e nemmeno un maestro. Ma se ho il mal di denti vado da un medico non da uno stregone. E quando i fans mi aspettavano fuori casa li convincevo ad indossare la mascherina, certo. Per me tutti possono fare quello che vogliono, ma so anche quello che voglio io».

Messaggi ai No Vax?
«Inutile, mi sono arreso, no? Hanno bisogno di credere a un complotto».

«L'amore l'amore» aggiorna la passione al tempo del «gender fluid»: «Tu con me, lui con te... Lei con lei. Lui con lui. L'amore, l'amore, l'amore si fa con le mani, si fa con il cuore, l'amore si fa come si vuole!».
«I tempi cambiano, io volevo una vita spericolata e ora... sono qui a dire che l'amore si difende, non è che dopo i 40 anni ti innamori e cambi una donna, o un uomo, come una macchina. Se fai un figlio dovresti almeno garantirgli vent'anni con mamma e papà, o comunque con i suoi genitori. I costumi sessuali si evolvono, a me stanno bene tutti, anche se suggerirei alle donne di non fare a noi maschietti quello che, per millenni, abbiamo fatto a loro».

Reclami il diritto maschile alla parità?
«Scherzo, ma ho pagato con le femministe di un tempo gli errori dell'intero genere maschile».

Torniamo al tour. Parti il 20 maggio 2022 da Trento e il 7 giugno torni a Napoli.


«Nello stadio che ora si chiama Maradona. L'ultima volta al San Paolo l'ho dedicata a Pino Daniele, un grande. Gli invidio Je so pazzo, avrei voluto scriverlo io quel blues. Ecco, pensa tu: un tempo Napoli era lui, la Nccp, oggi è Gigi D'Alessio. Comunque sono pronto a godermi Napoli, tappa difficile: ha una sua musica, una sua cultura, non accoglie tutti gli stranieri. A me sì, per fortuna. E canta con me, come canta: allo stadio sono tutti intonati. In fondo parlo di Napoli anche in un pezzo come Prendiamo il volo, scritto perso nel blu del cielo di Los Angeles o di Zocca, che qui a Milano ce lo sogniamo. 'O sole mio non la puoi scrivere dovunque, serve quel blu». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino