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Con l'improduttivo passo del gambero, dopo appena un mese, l'Avellino di Massimo Rastelli è tornato là dove lo aveva lasciato Roberto Taurino. Alla quinta gara di campionato del nuovo corso, la classifica fotografa una realtà a dir poco fallimentare. Con la stessa media di un punto a partita, ma grosso modo anche gli stessi problemi ereditati un mese fa, l'allenatore di Pompei si ritrova adesso a gestire una fase delicatissima del campionato in cui, almeno per le prossime sei gare racchiuse nell'arco di un mese, dovrà provare a ricavare il massimo da una squadra senza spina dorsale. Il riferimento non è solo all'aspetto caratteriale, indispensabile per chi lotta per la salvezza (sic!), ma soprattutto a quello strutturale di una formazione che, tra squalifiche, infortuni e scarso rendimento, si ritrova da tempo a scendere in campo con un asse portante sempre rattoppato e mai definito. Portiere, difensore centrale, regista e attaccante centrale, per intenderci, sono ruoli chiave intorno a cui ruota il gioco di qualsiasi squadra.
L'Avellino, con Taurino così come con Rastelli, per la verità non li ha finora nemmeno definiti attribuendoli ad occasionali titolari: in porta, dopo le incertezze di Marcone e il tentativo di ripescare Forte, ci sta andando l'esperto Pane; a dirigere la difesa, in luogo dell'insufficiente e infortunato Aya, nelle ultime giornate si sta facendo affidamento su Moretti, under interessante ma che invece di guidare il pacchetto arretrato aveva ancora bisogno di essere svezzato; in mediana, dove si intendeva affidare le chiavi alla sapienza dell'ex Turris, Daniele Franco, si è finiti per rivalutare addirittura Matera, terza scelta dello scorso campionato; in attacco, nella stagione che doveva segnare il riscatto del samurai Murano da centravanti, con Trotta e Gambale a corredo, nel secondo tempo di Picerno si è finiti per giocare con il falso nove affibbiato a Kanoute o Russo. Basta questa elementare riflessione per comprendere il perché della classifica disastrosa di una squadra che a Picerno, nei resti di chi attualmente è impegnato a difendere la bandiera, ha pagato oltremodo anche lo sforzo fisico e mentale prodotto a Catanzaro in Coppa Italia.
Se al Curcio, infatti, i biancoverdi sono stati per 95 minuti in balia di un avversario che annoverava nella propria spina dorsale due quasi quarantenni come Dettori e Reginaldo, probabilmente, è anche perché l'Avellino è sceso in campo con la spina della corrente fisica e mentale staccata.
Nel progetto estivo di Enzo De Vito e della società, su indicazione del trainer salentino, c'era infatti un Avellino che doveva muoversi sulle coordinate di un 3-4-3 quasi mai attuato sul campo. Anzi, a studiare le prime 14 giornate e in particolare le otto di Taurino, quella che doveva essere la formazione titolare dell'ex tecnico del Francavilla non si è praticamente mai vista in campo e chi ha giocato ha reso quasi sempre al di sotto delle aspettative. Discorso valido in maniera esponenziale non solo per la spina dorsale: s|e Marcone tra i pali è sempre apparso incerto, la difesa incentrata su Illanes a destra, Aya centrale e Zanandrea a sinistra si è ritrovata unita solo in infermeria e in panchina; il centrocampo con Ricciardi a destra e Micovschi a sinistra a dare supporto a Dall'Oglio e Franco con Casarini in alternativa da recuperare la condizione è rimasto nei progetti del Mercogliano stadium mentre il tridente titolare Kanoute, Murano e Di Gaudio non ha mai visto la luce. Chi, invece, come Trotta che era stato preso nell'extra mercato per rinforzare il reparto delle bocche di fuoco con Gambale, Russo, Guadagni e Ceccarelli di certo non ha fatto meglio pur scendendo in campo.
Il Mattino