Da bomber a panettiere dopo il proiettile in testa. «Sono felice così» | Foto

Salvador Cabañas, ieri e oggi
Chiunque, al suo posto, non sarebbe stato capace di sorridere alla vita. Eppure Salvador Cabañas, 34 anni, è un uomo di fede e ringrazia Dio ogni giorno per essere sopravvissuto...

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Chiunque, al suo posto, non sarebbe stato capace di sorridere alla vita. Eppure Salvador Cabañas, 34 anni, è un uomo di fede e ringrazia Dio ogni giorno per essere sopravvissuto ad un proiettile sparatogli in testa.




Gli appassionati di calcio, in particolar modo quello sudamericano, conoscono molto bene la triste storia di chi ancora oggi viene considerato da molti il miglior giocatore della storia del Paraguay. Cabañas, dopo aver giocato in patria e in Cile, si era trasferito in Messico, prima ai Jaguares de Chiapas e poi al più blasonato America, con cui si era laureato capocannoniere della Copa Libertadores nel 2007. Poi, il 25 gennaio 2010, la tragedia: in un bar di Città del Messico venne raggiunto alla testa da un proiettile sparato da un narcotrafficante. Le circostanze non vennero mai chiarite, anche perché Cabañas non poteva ricordare nulla. «L'unica cosa che ricordo è che mentre perdevo conoscenza ero sicuro di sopravvivere», spiegò poi Salvador.







Dopo alcuni giorni di agonia, Cabañas uscì dal coma e si riprese. I medici, per non fargli rischiare la vita, decisero di non intervenire chirurgicamente per rimuovere il proiettile nel cranio. Dopo due lunghi anni di riabilitazione, l'ex bomber provò a rimettersi in gioco nelle serie minori dei campionati sudamericani, ma poi gettò la spugna. I problemi, però, non erano finiti. La moglie chiese il divorzio e, con l'aiuto di alcuni avvocati, tra cui l'ex agente di Salvador, ottenne diversi milioni di dollari di alimenti. «Avevo risparmiato per tutta la vita e mi hanno portato via tutto», dichiarò poi l'ex attaccante. Oggi, per sbarcare il lunario, Salvador fa il panettiere nella sua città natale, Itauguà, alzandosi tutti i giorni alle 4 del mattino. Quando distribuisce il pane, tutti lo riconoscono e iniziano a parlargli di calcio: «La vita è dura, ma queste cose mi aiutano a superare tutto, insieme alla fede». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino