C’è un po’ di tutto nelle carte del deferimento di tre ex calciatori del Napoli: le telefonate con cui Paolo Cannavaro prova a piazzare un orologio di dubbia...
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Ma quali sono i rilievi che costano ai tre calciatori una sorta di rinvio a giudizio in sede disciplinare? Come raccontato dal Mattino lo scorso 10 maggio, l’ex capitano azzurro avrebbe provato a vendere un orologio prezioso di notevole valore (400mila dollari) ma di provenienza sospetta, su richiesta del suocero Luigi Martino. Ricordate quella conversazione intercettata dalla Dia? Era il 12 febbraio del 2013, quando Luigi Martino propose al genero Paolo Cannavaro un affare, uno «Zenit tempestato di diamanti»; dall’altra parte del telefono, dopo essersi sincerato della presenza di un documento di garanzia, Paolo Cannavaro si disse disponibile a proporlo ad «Eddy» nello spogliatoio, vale a dire al bomber Edinson Cavani (oggi in forza al Paris Saint Germain): «Domani me lo vengo a prendere, me lo porto al campo... lo faccio vedere anche a Michele».
Ma veniamo a Reina. Per la Procura federale, il portiere spagnolo avrebbe intrattenuto «inopportunamente rapporti di frequentazione ed amicizia concretizzatisi in vacanze, disponibilità d’uso di auto di grossa cilindrata di proprietà di Gabriele Esposito e agevolazioni all’accesso in zona riservata dello stadio San Paolo in occasione delle partite ufficiali». Pochi giorni fa, il nome di Reina è stato abbinato anche ad alcune intercettazioni che stanno alla base degli arresti dei tre fratelli Esposito, quelle in cui - anni fa - Reina si affidava ai propri amici imprenditori per un appuntamento in un centro massaggi, in una zona chic di Napoli.
Deferito per le frequentazioni con i fratelli Esposito anche Salvatore Aronica. Ma cosa c’entrano i tre dipendenti del Napoli in questa vicenda? Sotto i riflettori finiscono sponsorizzazioni, gadget e ticket, come nel caso di Formisano: da un lato, scrivono gli inquirenti in sede disciplinare, avrebbe intrattenuto solo con Giuseppe Esposito «rapporti commerciali, contratti di sponsorizzazione e contratti di licenza di uso del brand Calcio Napoli, impegnandosi a fornire la relativa documentazione contrattuale». Un impegno mai onorato, aggiungono dalla Federazione, in riferimento al tentativo di commercializzare orologi con il brand Napoli e di sfruttare i contatti social di campioni del calibro di Callejon (ovviamente estraneo a questa vicenda).
Poi c’è la storia dei biglietti, sull’onda d’urto di una telefonata del 17 gennaio del 2014. A contattare Paolo Cannavaro è tale «Lello», che chiede due biglietti «omaggio per una partita del Napoli destinati a soggetti legati alla famiglia Bosti e ai Lo Russo».
Sulle prime, il difensore prova a fare resistenza («già te ne ho fatti avere sei»), mentre «Lello» insiste («allora non contiamo più niente?»), oltre a rimarcare la necessità di mantenere massimo riserbo sull’identità dei destinatari finali. Uno scenario sul quale il direttore marketing Formisano non rilascia dichiarazioni (è stato ascoltato dai pm a Napoli giorni fa come persona informata dei fatti), anche se i vertici del club azzurro ricordano l’impossibilità di conoscere il destino giudiziario di tutti coloro che entrano in rapporti commerciali con il calcio Napoli; oltre a sottolineare che sui biglietti omaggio in genere prevale il carattere fiduciario tra la società e il calciatore richiedente. Spiega l’avvocato della società Mattia Grassani: «Non ci aspettavamo questo deferimento, parliamo di un’indagine in cui il Napoli ha collaborato. Ci saremmo attesi un altro tipo di conclusione. Se i giocatori fanno delle scelte nella loro vita privata, trovo ingiusto che venga poi tirato in ballo il club. Ci opporremo alle decisioni della Procura». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino