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Los Angeles è tappezzata di pitture murali che ricordano Kobe Bryant. Centinaia di graffiti, più intensi intorno allo Staple Center dove giocano i Lakers, ma presenti anche a grande distanza: a Beverly Hills, a Santa Monica e a Venice. Qualcuno ha preso addirittura la briga di contare quelli dipinti all’estero, in trenta paesi che includono l’Uganda, Haiti e la Croazia. Ma nel giorno che segna il primo anniversario della sua scomparsa la città resta muta, come se fosse ancora troppo stordita, piegata dal dolore per reagire con una celebrazione. «Non sono ancora pronto a parlarne – ha tagliato corto Paul Gasol di fronte alla domanda di un cronista – Non ho le parole per esprimere quello che provo». «Si dice: il tempo cura tutto. Appunto, abbiamo ancora bisogno di tempo», gli ha fatto eco LeBron James.
I compagni di squadra hanno incorporato la memoria della loro stella in una forma più sottile e profonda: giocatori indossano da tempo le scarpe firmate da Bryant. L’urlo: «Mamba on three», il motto della scuola di basket da lui fondata, è ormai uno degli slogan più frequentemente urlati dai tifosi durante le partite.
Il prossimo passo sarà l’installazione di una statua commemorativa, all’esterno dello Staple Center. La proprietaria dei Lakers Janie Buss aveva legato l’evento all’ingresso di Bryant nella Hall of Fame del basket. Una forma di rispetto per l’istituzione imponeva di rispettare il passaggio che avrebbe dovuto accadere l’anno scorso, ma che è stato rinviato al 2021 per via del coronavirus. Le due data sono ora imminenti e forse avverranno in contemporanea. Si dibatte la forma che la scultura dovrebbe avere. Una grossa ipoteca l’ha posta Shaquille O’Neil, con l’idea di immortalare l’entrata in avvitamento che permise a Kobe di pareggiare il parziale, e poi vincere la quarta partita di playoff contro i Phoenix Suns, sette decimi di secondo prima della campana dei tempi regolamentari.
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