«Qui si sta da Dio, vorrei tanto rimanerci a lungo e penso che finirà così». Il cuore e il corpo di Carlo, checché se ne dica, non sono più...
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È stato il presidente a frenare, anche perché sulla sua pelle ha imparato che il calcio non è come il cinema e certi amori professionali non sono così eterni. Basta poco per cambiare registro. «C'è tempo, facciamo tutto con calma», gli ha risposto lusingato perché deve essere stato piacevole, assai piacevole, sentirsi fare questa proposta dall'allenatore italiano in attività più vincente di sempre. De Laurentiis è rimasto colpito da Carletto, il primo tecnico della sua era che ha scelto di vivere a Napoli e godersi dall'alto le meraviglie del golfo. Reja e Benitez vivevano in una suite dell'hotel che si affaccia sul centro tecnico di Castel Volturno; Mazzarri aveva scelto la campagna tra Pozzuoli e Quarto e Sarri una villetta di Varcaturo. Ma soprattutto il presidente è rimasto colpito dalla capacità dell'allenatore emiliano di dare concretezza alle sue convinzioni: era certo, De Laurentiis, di avere allestito una rosa che dal turnover sarebbe stata esaltata. Con Sarri, la rottura è stata su questo tasto, ormai è cosa nota.
La gara con la Lazio è stato il trionfo dell'ancelottismo: inteso come capacità di adattarsi a quello che si ha e a quello che ci si trova davanti. Non è normale non accorgersi delle assenza di Hamsik, Insigne, Koulibaly e Allan come ha fatto Carlo. Far buon viso a cattivo gioco. De Laurentiis ne è rimasto folgorato: qualora avesse bisogno di una conferma, l'ha avuta domenica sera. Sì, Ancelotti è l'uomo giusto. Il presidente si è congratulato con lui, per la personalità che ha avuto il suo Napoli in una notte sulla carta complicata. Prolungare per altri tre anni già adesso, significa proiettare Carlo in un'altra dimensione. Neppure al Milan di Berlusconi, dove pure è rimasto per sette anni, si è mai legato con un contratto così lungo. Una firma del genere trasformerebbe Carlo in un manager alla Ferguson. Che curerebbe anche settore giovanile e progetti per il futuro. Così come ha curato anche gli interventi del centro tecnico.
E nel frattempo, Carletto potrebbe anche crescere in casa il suo successore. Tra molti anni, s'intende: perché è Davide, il figlio, il predestinato delle panchina. Ora non si sa se nel Napoli o no, ma De Laurentiis è rimasto assai colpito dalla sua preparazione e dalle sue competenze. Essere figlio di... non gli pesa. Dopo aver tentato di ricalcare come calciatore le orme del padre (che il 6 settembre 2007 lo schierò per qualche minuto nell'amichevole Milan-Dinamo Kiev 2-2), è divenuto supervisore del settore giovanile al Psg e poi preparatore atletico di Real Madrid e Bayern. E ora vice del padre. Nel Napoli. Ha confidato di aver registrato il papà sul telefonino come Plugo, da un soprannome che i genitori a Davide avevano dato da piccolo. Lo si vede spesso in piedi, a bordo campo, assistere il papà nei suggerimenti. Ma è durante la settimana che Davide prende spesso il posto di Carlo, negli allenamenti a Castel Volturno che spesso dirige lui. Di padre in figlio, niente male la successione sulla panchina azzurra nel nome di Ancelotti. Ma per la staffetta c'è ancora tempo. Moltissimo tempo. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino