Non si sa se è peggio lo 0-0 col Torino o il rendersi conto che quella ironia dinoccolata che lo ha sempre accompagnato è sparita. Qualcosa non va. E lo si capisce...
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Ancelotti è come un professore universitario: dà per scontato che chi ha davanti a sé sia molto avanti nelle conoscenze, altrimenti non sarebbe lì ma al liceo. E, forse, sopravvaluta la rosa che ha tra le mani. Anche se pubblicamente ha dato 10 al mercato degli azzurri, sognava gente di maggiore esperienza: è sempre stato abituato a gruppi che al proprio interno avevano gli anticorpi per uscire dai momenti difficili. Da soli. Senza parole, senza discorsi motivazionali, senza rimproveri o altro. Ecco, anticorpi che hanno soltanto i top player veri. Partiti Hamsik e Albiol, il Napoli ha perso due leader dello spogliatoio: chi respira l'aria di Castel Volturno, sa che Koulibaly, Mertens ma anche Callejon, per esempio, non hanno le stimmate per prendere in pugno la squadra quando finisce nel tunnel. Anche se viene dal calcio degli anni 80, Ancelotti non ama i ritiri: preferisce che la squadra viva la famiglia il più possibile. Solo una volta, da quando è a Napoli, ha deciso di mettere in clausura i suoi: di ritorno dalla trasferta con l'Arsenal, decise di portare il gruppo direttamente a Verona. La motivazione, però, fu un'altra: ragione logistiche. Ma è chiaro che questa squadra ha bisogno di parlarsi, di guardarsi in faccia: le responsabilità di Ancelotti per questo senso di appagamento che aleggia nelle ultime prestazione degli azzurri ci sono. Ma fino a un certo punto. Cosa farà? Continuerà nel percorso. Senza cambiare.
Il presidente del Napoli è rimasto a Roma, rinunciando ancora una volta a seguire in trasferta gli azzurri. Preferisce seguire da lontano la vicenda, non ama interferire soprattutto quando le cose non vanno come dovrebbero. I rapporti con Ancelotti sono buonissimi, motivo per cui Carlo si è prestato a dare la sua voce alla denuncia sui ritardi nei lavori dello spogliatoio del San Paolo. Il feeling è (quasi) totale, poi è ovvio che questo non significa che i due decideranno di sedersi per prolungare il contratto. Peraltro, a maggio, c'è stata la scoperta dell'opzione annuale che il club può esercitare su Carlo: ma non si arriverà mai e poi mai alla rottura tra Ancelotti e De Laurentiis. I due hanno la stessa visione di calcio. Peraltro quel turnover ossessivo è proprio il frutto di quel patto - non scritto - tra allenatore e società all'inizio dell'era del tecnico di Reggiolo. Bisognava voltare pagina e con Ancelotti si è voltata pagina. Ma il rendimento di quest'anno, i due punti in meno rispetto a dodici mesi fa, pesano.
Ancelotti vuole vincere lo scudetto. E non è solo un proclama il suo: sa che le sue parole sono scolpite nella mente di tutti. De Laurentiis ha solo una perplessità: era convinto che la continuità del progetto avrebbe messo il Napoli in una posizione di leggero vantaggio rispetto a Juve e Inter che invece, cambiando allenatore, hanno dovuto azzerare il lavoro. Ma Ancelotti ha carta bianca: ha il potere di fare quello che vuole, può far giocare chi gli pare perché De Laurentiis si fida di lui e questo mese di settembre non ha spostato di una virgola questo rapporto. Con l'arrivo di Manolas e Lozano (il suo chiodo fisso), ha visto centrati due dei suoi obiettivi di questa estate. Se ne aveva altri, a De Laurentiis non lo ha detto. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino