Ci mancava solo la guerra dei santi del pallone. «Addio San Paolo, porto il Napoli da San Nicola», ha tuonato De Laurentiis. Per smorzare la provocazione, occorreva un...
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San Paolo questione infinita, tormento quotidiano ma teatrino perfetto per le beghe continue tra il club e Palazzo San Giacomo. I due condottieri non si parlano da tempo, sindaco e presidente usano la squadra di calcio come campo per le loro battaglie. E nessuno molla di un centimetro, tanto da pensare di caricare magliette, pantaloncini, palloni, tifosi e mollare Fuorigrotta per Bari, che non sarà «un cesso che più cesso non si può» ma nemmeno il salotto che Aurelio vuol far credere agli altri e a sé stesso: per accedervi all'interno, alcuni settori sono transennati per crolli di parte dell'intonaco, e l'impianto elettrico non è funzionante. Proprio ieri mattina, peraltro, l'assessore allo Sport Ciro Borriello aveva simbolicamente teso una mano alla società azzurra: «Se vuole, il presidente è il benvenuto durante le nostre riunioni, restiamo favorevoli alla vendita del San Paolo purchè ci siano i requisiti indispensabili. In presenza di offerte congrue, discuteremo con esperti del settore per stabilire il valore di mercato dell'impianto. Non facciamo favori a nessuno, siamo il Comune, rappresentiamo e tuteliamo gli interessi della città e non di una squadra di calcio». Da Castel Volturno la risposta è stata netta: «No grazie, se possiamo ce ne andiamo. E in due anni ci costruiamo con i nostri soldi il nuovo stadio». Idea che affascina ma che marcisce nel cassetto da una vita. «Saranno almeno dieci anni che Aurelio minaccia di lasciare il San Paolo, ha soltanto alzato la voce per cercare di smuovere le acque», ha sbuffato Pierpaolo Marino, ex direttore sportivo del club nel primo lustro della gestione ADL.
Emigrare equivale a fare un dispetto e un gesto del genere non favorirebbe i buoni rapporti tra due città. A Napoli De Magistris (sabato non andrà in curva per impegni politici fuori città) è stato categorico e sintetico. «Trovo impensabile - dice - una soluzione del genere, non accadrà mai che il Napoli non giochi al San Paolo. È grave che questo fatto sia soltanto immaginato». Il suo collega barese Decaro è stato ancora più profondo, in pratica è come se il sindaco del capoluogo pugliese avesse gentilmente rifiutato: «Resto dell'idea che ogni club debba giocare nel proprio stadio, con i propri tifosi. A noi farebbe soltanto piacere ospitare il Napoli e la Champions ma le squadre devono giocare nelle loro città di appartenenza».
Dei tifosi manco a parlare, a Napoli nessuno tocchi Paolo, il santo del pallone che non è ai livelli del protettore Gennaro ma nemmeno la ruota di scorta di Nicola. Non esiste al mondo che sotto il Vesuvio qualcuno voglia dimostrare il contrario, eppure De Laurentiis lo ha fatto, da inguaribile provocatore qual è. La marea azzurra boccia totalmente l'ipotesi di emigrare, anche se pullman, panini, bibite e tutto l'occorrente per la scampagnata verranno offerti dalla ditta. Su quest'ultimo episodio dell'assurda telenovela stadio, andrà a incastrarsi la sfida di sabato sera: le previsioni annunciano un San Paolo semideserto, perché la batosta di Genova ha lasciato il segno e perché parte di Fuorigrotta, soprattutto gli abitanti delle curve, ha preso posizione contro De Laurentiis. Siamo alla quarta giornata eppure bisogna tornare a vincere, magari con la solita benedizione di San Paolo che non fa miracoli come San Gennaro ma rispetto a San Nicola può vantare un esercito di fedeli pronto alla guerra. Quella del pallone, ovviamente. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino