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Napoleon-Gattuso ha avuto ha sua Waterloo, e con lui tutto il Napoli. Una squadra senza testa, fiacca, che ha giocato poco e male. Accerchiato da un Verona che gioca a uomo per tutto il campo, e che ha rifatto la partita dell'andata, ottenendo lo stesso controllo della gara. Sembrava che il Verona dovesse andare in Champions League e non il Napoli. E la partita è diventato un caldo martirio, prima con le perdite di tempo del portiere Ivor Pandur, poi con i numerosi errori dei calciatori napoletani. Ruiz irriconoscibile ha sbagliato più palloni dei respiri fatti, Insigne generosamente effimero, Osimhen a un certo punto sembrava ossessionato come Sylvester Stallone/Hatch in Fuga per la vittoria: «Dove mi metto sui lanci di Insigne?». Uno smarrimento nervoso, che col passare del tempo diventa smottamento emotivo e poi calcistico, con il Napoli che chiude con un solo centrocampista Ruiz a mezzo servizio, in deroga da se stesso, e continua a palleggiare nell'incapacità elementare di lanciare uno dei suoi cinque attaccanti.
In mezzo ci sono scontri, lamenti inutili verso il Verona che continua a giocare come ha sempre fatto e che volendo sarebbe un vantaggio tattico non un motivo di recriminazione. Anche perché Hysaj riesce in un record che prima o poi finirà in una canzone come per Riccardo Ferri e Ligabue si fa infilare allo stesso modo che col Cagliari, la vera partita dove il Napoli ha perso l'accesso in Champions.
Stranamente Napoleon-Gattuso non ha cronachizzato la partita, non è stato ossessivo come suo solito, si è inglesizzato, apparendo già vinto, già lontano, già consegnato ad altre partite, obiettivi, sogni. Il risultato è come cantava Guccini d'essere arrivati a un punto dai campioni, cioè quelli che se ne vanno in Champions. Sul campo rimane una squadra piena di rimpianti, con tanti sogni e poca fame. Il rigore, le urla, le ossessioni a bordo campo non sono servite, di grande bellezza se ne è vista pochina, e ora tocca ricominciare tutto daccapo. La scollatura rimane sempre la stessa: l'identità? Che squadra vuole essere il Napoli? Continuare sulla linea dell'irrazionale con sprazzi di bellezza e illusione, bordeggiando l'indecifrabile, oppure trovare delle certezze, anche una sola. Invece, oscilla in una nostalgia per la bellezza o in un indecifrabile risarcimento per quella bellezza, che, però, non arriva all'improvviso, e soprattutto non esiste. La funzione ciclica del Napoli sembra essere quella di perdere quando poco al traguardo, molla sempre un attimo prima, quando basterebbe poco, quando ormai è fatta, zac, viene meno, perde fiato, pensieri e obiettivo.
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