Napoli, quel miracolo nato tra i boschi: i segreti della preparazione di Sinatti

Napoli, quel miracolo nato tra i boschi: i segreti della preparazione di Sinatti
Il segreto è correre tanto. Ma non solo: è anche esprimere qualità in velocità. Per farlo è necessario essere giovani e forti lì in mezzo...

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Il segreto è correre tanto. Ma non solo: è anche esprimere qualità in velocità. Per farlo è necessario essere giovani e forti lì in mezzo e lì in avanti. Il Napoli ha lavorato sodo in questa direzione. Non è una novità: c'è il preparatore Francesco Sinatti dietro questo miracolo agonistico e atletico, l'uomo arrivato qui con Sarri, poi messo da parte per due anni e richiamato quando Spalletti è approdato al club azzurro. È anche lui piuttosto giovane, 39 anni, ma è un altro che crede fortemente al lavoro tra i boschi della Val di Sole e dell'Abruzzo durante il periodo estivo. Come nel vecchio calcio di una volta. È stato lui a volare ad Antalya per definire il programma di dicembre del Napoli che andrà in Turchia per una decina di giorni prima della ripresa del campionato. Sinatti mette sempre al centro di ogni cosa il pallone: ma senza rinunciare anche al vecchio lavoro cosiddetto a secco. Ovvero la vecchia corsa per recuperare energie. Lo ha rivoluto qui proprio De Laurentiis, in coppia con Calzona che ora è il ct della Slovacchia. 

Il primo posto del Napoli è un distillato di una serie di indovinate combinazioni: giocatori tecnici e atleti muscolari, calciatori con un bel po' di esperienza e talenti rampanti con tanto spazio ancora nella pancia. Merito di tecnico e società aver realizzato questa miscela vincente. L'alchimia si è creata in modo assolutamente naturale per una situazione molto particolare. Nel Napoli, a dispetto di un anno fa, non si sono creati due blocchi anagrafici nettamente distinti. Lo splendido gioco di Spalletti è divenuto, poi, un'evoluzione darwiniana del calcio moderno. Ovvio, dirà Luciano non mi fido dei complimenti. Perché naturalmente lui per primo ricorda cosa successe dopo i 6 gol segnati al Sassuolo del 1 maggio, quando c'erano striscioni che parlavano di vergogna nonostante il ritorno in Champions. Ma la fotografia del momento è esaltante. E se vuole, faccia lui il pompiere. Una squadra che anche sabato ha mostrato di avere il gioco al centro di ogni cosa. Con gli attaccanti - chiunque essi siano - che non rischiano mai di finire in pasto a difese sempre più accorte tatticamente e sempre più potenti atleticamente. Mai come nel calcio del Napoli i centrocampisti hanno avuto tanto potere. Lobotka e Anguissa, ma non solo. Quello che salta all'occhio è che il Napoli delle tredici vittorie consecutive è come un monolito, un grande centrocampo e un grande trio offensivo che fa tutto, copre, crea, segna. E corre, soprattutto. Mettersi sulla strada di questo Napoli, non significa fotocopiarne il 4-3-3, ma ispirarsi allo spirito di Simeone, Raspadori, Osimhen, Lozano, Politano. Un segno dei tempi. Lucianone chiede a Kvara e Osimhen di fare spesso l'elastico, venire incontro al portatore e offrire la sponda. Nel calcio al potere l'attaccante ha smesso di essere il terminale esclusivo, seduto a tavola, è diventato anche il cameriere dei vari compagni-incursori che decidono con qualità. Ed è questo lo spirito del Napoli: collettivo, palleggio, qualità, corsa. Dicono che anche lo scorso anno fino alla dodicesima giornata il Napoli volava e aveva gli stessi punti (32) di adesso. E che la svolta (in negativo) arrivò proprio dalla 13sima giornata (con l'Inter a San Siro). 

Gli ultimi arrivati sono stati accolti come vecchi amici: quelli sopravvissuti della vecchia guardia non hanno mai visto i giovani come concorrenti interni. I vari Rrahmani, Politano, Lozano, Osimhen, i senatori, non hanno mai visto negli ultimi arrivati una minaccia. Lo scontro tra blocchi che spesso ostacola la coesione di una squadra, al Napoli non c'è stato. Domani a Liverpool per il Napoli non è un esame di maturità perché comunque vada questa squadra non deve dimostrare nulla a nessuno. Però quella contro i Reds di Klopp è una montagna da scalare che intimorisce ben più del maestoso muro di tifosi di Anfield: un gruppo di campioni dalla solida esperienza internazionale che probabilmente ha perso la vecchia allegria del tecnico tedesco ma che comunque nel girone di Champions ha perso solo al Maradona. Poi ha vinto sempre. È vero che suonano strane le ultime due partite perse con Nottingham (ultimo in classifica) e Leeds (in casa). Ma la banda Klopp, dopo il Napoli, ha incassato solo due gol in Champions e ne ha segnati ben 14 (ben 7 in un colpo solo ai Rangers). Firmino e Salah restano il demonio e quindi Kim e Juan Jesus (che è in vantaggio rispetto a Ostigard) dovranno difendere meglio di quanto abbiano fatto sabato pomeriggio con il Sassuolo: perché contro i Reds, per ogni falla che si aprirà, non ci sarà scampo. Al contrario di quello che è successo con gli emiliani. Ma Spalletti avrà la sue armi da spendere, a patto che entri in campo togliendosi dalla testa il punticino. Magari non potrà permettersi la partita perfetta del Maradona all'andata, ma in ogni caso potrà giocarsela guardando il Liverpool negli occhi. Le scelte? Mario Rui in vantaggio su Olivera e Politano avanti rispetto a Lozano. In attacco conferma per Osimhen. Ma in fondo che dubbio c'è? 

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Il Mattino