Fienga cerca di salvare Petrachi, ma Pallotta pensa a licenziarlo

Fienga cerca di salvare Petrachi, ma Pallotta pensa a licenziarlo
Forse ha preso troppo alla lettera la frase cult di John Belushi («Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare») nel film Animal House. O probabilmente...

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Forse ha preso troppo alla lettera la frase cult di John Belushi («Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare») nel film Animal House. O probabilmente Petrachi s’è preso semplicemente troppo sul serio. Convinto sin dal suo arrivo che a Roma servisse il pugno di ferro, ha deciso di crogiolarsi dietro l’identikit costruitosi su misura («Uomo scomodo in questo ambiente perché non vado a prendere il caffè con nessuno») per cambiare una situazione che ciclicamente si ripete in tutti i club quando i risultati non arrivano. Ossia, paga l’allenatore (lo scorso anno insieme al ds), trapelano dissidi nello spogliatoio, emergono faide interne sino a quel momento sopite o negate: storie viste e riviste. Un copione che tra l’altro è molto di moda nella Roma americana capace in 9 anni di alternare 8 allenatori, 2 presidenti, altrettanti vicepresidenti, 5 tra a.d. e ceo, tre d.g. e 4 d.s. Conteggio prossimo all’aggiornamento. 


A meno che le esigenze del club non rimandino l’addio. In queste ore Fienga sta cercando di capire se esistono i margini per ricucire lo strappo. Difficile alla luce dell’sms al vetriolo inviato dal d.s. al presidente Pallotta. Tuttavia, pur non approvando i metodi del dirigente e criticando la sovraesposizione mediatica (a Torino il ritornello è che ha parlato più in 10 mesi a Roma che in 9 anni con Cairo), il Ceo è consapevole che c’è un mercato da effettuare. Privarsi di Petrachi a giugno inoltrato, nonostante le scadenze siano state posticipate, senza avere, al netto di Baldini, nessun sostituto in mano (pronto De Sanctis per l’interregno ma è al suo primo incarico; potrebbe tornare in corsa Massara se Maldini va via dal Milan), rappresenta un salto nel vuoto. Senza contare che c’è una buonuscita di mezzo, mai secondaria per un dirigente che guadagna 1,2 milioni di euro netti più bonus sino al 2022 in un club con i conti in difficoltà. Problema che potrebbe essere bypassato se la Roma decidesse di intraprendere la strada del licenziamento per giusta causa (valutazioni in corso). Petrachi (che a Trigoria ritengono abbia una squadra dietro) rimane dunque appeso a un filo sottilissimo. Fienga sta provando a convincere Pallotta a tenerlo a tempo, per fargli completare almeno la sessione estiva. L’ultima parola spetta a Jim. 


Di certo l’avventura del d.s. è nata male e sta finendo peggio. Petrachi ha sempre catalizzato su di sé mille polemiche. Dall’esser stato catturato dai fotografi a Fiumicino di ritorno da Madrid con il Ceo quando era ancora sotto contratto con il Torino passando per il tira e molla con i granata, costato due ragazzi della Primavera (Greco e Bucri), fino ad arrivare ai primi dissidi con il suo ex club per Nkoulou, meritevoli di una precisazione all’Ansa. E poi in serie: l’inchiesta della Procura Federale nata quando disse di aver parlato con l’Inter per Dzeko a maggio; il chiarimento con Edin dopo la frase «Non è il padrone in questa casa»; il pugno di ferro adottato a Trigoria con molti dipendenti abituati ai modi gentili di Monchi e all’ironia di Sabatini; gli attacchi reiterati ai media; la gaffe su Friedkin e quella per la frase sessista post Roma-Cagliari per la quale dovette scusarsi pubblicamente; i modi poco eleganti nel rapportarsi con un passato che comunque tra mille errori aveva garantito una semifinale di Champions, l’arrivo di Zaniolo e un terzo posto («Sono stato chiamato per recuperare gli errori degli anni precedenti»); l’ingresso negli spogliatoi a Reggio Emilia; i modi discutibili con i quali recentemente ha parlato dell’impegno della squadra, smentito da Fonseca; le frasi su Zaniolo e Pellegrini nell’ultima intervista a Sky. Atteggiamenti che lo hanno reso un uomo solo.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino