Visto il primo “buco nero supermassiccio”, è distante 13 miliardi di anni luce

Visto il primo “buco nero supermassiccio”, è distante 13 miliardi di anni luce
Rossastro a causa della polvere stellare e molto compatto: appare così il primo precursore di un buco nero supermassiccio, distante ben 13 miliardi di anni luce. Il...

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Rossastro a causa della polvere stellare e molto compatto: appare così il primo precursore di un buco nero supermassiccio, distante ben 13 miliardi di anni luce. Il risultato, pubblicato sulla rivista Nature, è un primo passo nella possibilità di ricostruire la formazione di questi oggetti misteriosi nell'universo primordiale. La scoperta si deve alla vasta collaborazione internazionale basata sui dati di archivio del telescopio spaziale Hubble, di Nasa e Agenzia Spaziale Europea (Esa), è coordinata dall'astronomo Seiji Fujimoto dell'Università di Copenaghen, e l'Italia ha partecipato, con Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e Università Sapienza di Roma.

 

La scoperta di buchi neri supermassicci nell'universo primordiale, con masse fino a diverse centinaia di milioni di volte quella del sole, ha sollevato il problema di capire come oggetti di questa taglia siano stati in grado di formarsi e crescere nel breve periodo di tempo successivo alla nascita dell'Universo, ossia in meno di un miliardo di anni.

Il baby buco nero si chiama GNz7q ed è considerato l'anello mancante nell'evoluzione dell'universo primitivo, fra le prime galassie e i quasar. È nato appena 750 milioni di anni dopo il Big Bang, come hanno dimostrato le analisi condotte da Rosa Valiante, dell'Inaf, e Raffaella Schneider,della Sapienza. «Pensiamo che GNz7q sia un precursore dei buchi neri supermassicci trovati nell'universo primordiale», osservano le due ricercatrici. La scoperta è stata una doppia sorpresa perchè è stata fatta in una delle regioni più osservate nel cielo notturno. Il prossimo passo dei ricercatori sarà andare a caccia di oggetti simili in modo sistematico, con campagne osservative ad alta risoluzione e sfruttando il nuovo elescopio spaziale James Webb.

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Il Mattino