Che c'entrano le piramidi dell'Antico Egitto con Stromboli? E' una questione di raggi X. Non è una boutade, ma pure scienza. Quella che consente di effettuare...
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La ricerca, basata sull'esperienza di indagini e studi applicati alle piramidi egizie, è stata pubblicata sulla rivista Scientific Reports, ed è frutto della collaborazione fra i vulcanologi dell'Istituto Nazionale di Fisica e Vulcanologia (Ingv) e i fisici delle particelle dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
La ricerca ha rivelato sulla sommità del cono del vulcano una struttura "sentinella" che aiuterà a comprendere meglio le future eruzioni. E persino a prevenirle. Si tratta di una zona con una densità di oltre il 30% inferiore rispetto allo strato roccioso sottostante. Questa zona corrisponde a una struttura di collasso che si è formata nell'area dei crateri durante l'eruzione del 2007 e successivamente è stata riempita dal materiale piroclastico prodotto dall'attività esplosiva stromboliana.
Per studiare il vulcano, i fisici hanno dovuto ideare un rivelatore trasportabile e resistente alle intemperie. La tecnica usata si basa su un principio simile a quello delle radiografie ai raggi X, ma utilizza particelle elementari chiamate muoni. Queste particelle hanno una capacità di penetrazione nella materia molto maggiore rispetto ai raggi X e, di conseguenza, la tecnica della radiografia muonica ha il vantaggio di poter essere impiegata su strutture molto grandi.
«Dal numero di muoni che arriva sul rivelatore - spiega il coordinatore Valeri Tioukov, dell'Infn - possiamo capire la densità del materiale attraversato perché i muoni possono attraversare la roccia vulcanica, ma a seconda della densità e dello spessore una parte di questi viene assorbita».
«Il risultato servirà a comprendere meglio i processi eruttivi stromboliani e la dinamica del versante della Sciara del Fuoco, che nel passato è stato più volte interessato da frane in grado di provocare tsunami», rileva Flora Giudicepietro, dell'Osservatorio Vesuviano di Napoli.
La ricerca è stata possibile grazie a un rivelatore di muoni basato «sulle tecnologie sviluppate per l'esperimento Opera, che ha studiato ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso le proprietà del fascio di neutrini proveniente dal Cern», spiega Giovanni De Lellis dell'Infn e dell'Università Federico II di Napoli, a capo dell'esperimento Opera. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino