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Il loro nome è organoidi ma, più comunemente, vengono definiti avatar.
Sono modelli innovativi della ricerca biomedica, repliche in miniatura di organi e tessuti umani. Anche di un tumore. Oltre centomila organoidi nati da materiale di biopsie sono custoditi nella biobanca (una sorta di caveau con armadi frigorifero che arrivano a temperature variabili tra - 80 e -180) dell’Istituto di ricerca e cura Candiolo, alle porte di Torino. Focus sui tumori del colon, testa-collo, seno, sarcomi, melanomi e tumori rari. Un esempio di ricerca pura che può diventare, grazie agli studi sul materiale, una terapia al letto del malato. Uno scatto del lavoro scientifico che permette il passaggio dalla medicina personalizzata a quella, del futuro molto vicino, di precisione. «Il nostro vantaggio è avere modelli realizzati sul paziente e non su tessuti di cui non conosciamo l’origine. Grazie alle donazioni abbiamo potuto realizzare le biobanche di organoidi su cui poi facciamo sperimentazione di nuovi farmaci, e valutiamo le alterazioni in considerazione della eterogeneità del singolo tumore, oltre che mettendo a confronto i tumori tra pazienti», fa sapere Anna Sapino, direttrice scientifica di Candiolo. Sono tumori in miniatura, dunque, che derivano da campioni chirurgici o bioptici freschi di pazienti e vengono coltivati in vitro in una matrice tridimensionale. Ogni prototipo conservato ha un suo codice per garantire in modo assoluto l’anonimato del donatore. Che diventa uno dei protagonisti della ricerca. «Quando i materiali sono imbibiti in questa matrice formano una struttura che ricalca il tumore del paziente – spiega Livio Trusolino, direttore del laboratorio di Oncologia traslazionale dell’Istituto – In tutte le sue caratteristiche, appunto come un avatar. L’utilizzo degli organoidi è finalizzato all’identificazione di nuove terapie.
L’EVOLUZIONE
Secondo i ricercatori dell’Istituto «la genomica da sola non basta più». Ed è giunto il momento, nella battaglia contro il cancro, di affidarsi anche ad altre scienze in evoluzione. Parliamo di proteomica (lo studio della struttura e della funzione delle proteine di un organismo), la metabolomica (lo studio delle impronte chimiche lasciate da specifici processi cellulari) e la radiomica (l’applicazione dell’intelligenza artificiale alla dignostica per immagini e allo studio delle caratteristiche genetiche della persona). «Negli ultimi anni – spiega Vanesa Gregorc, direttrice dell’Oncologia medica di Candiolo – ci siamo resi conto che la sfida non si può giocare solo studiando il tumore ma anche analizzando le caratteristiche dei pazienti. Si tratta di un cambio di paradigma che, man mano che la tecnologia si è evoluta, ha aperto nuove linee di ricerca. Con il progetto Proactive, ad esempio, grazie alla ricerca sul Dna tumorale circolante e sulle primissime tracce che il cancro rilascia nel nostro sangue, stiamo lavorando allo sviluppo di nuove metodiche che ci consentano di prevedere lo sviluppo di un tumore, diverso tempo prima che diventi radiologicamente visibile». Le armi che abbiamo a disposizione, fanno capire i ricercatori, sono più efficaci quando ancora il tumore si trova in una fase precoce di sviluppo. «In questo modo – aggiunge Gregorc – veniamo messi nelle condizioni di lottare contro il cancro nella sua fase più vulnerabile. Quando non ha ancora messo le radici e sfoderato tutto il suo potenziale invasivo. Significa anche intercettare in alcune persone, come i familiari dei pazienti, il rischio di sviluppare tumori ereditari, modificando il loro destino».
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