Avellino, in tenda da 100 giorni
lottando per il lavoro

Avellino, in tenda da 100 giorni lottando per il lavoro
di Gianni Colucci
Lunedì 20 Agosto 2018, 08:00 - Ultimo agg. 11:31
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Cento giorni, centouno per la precisione. Più di quelli del presidio alla Fiat Iveco in Valle Ufita (il più grande stabilimento metalmeccanico della provincia) di sei anni fa. A via Pescatori, davanti al capannone con la scritta rossa «Ipercoop», a Ferragosto c'erano loro: banconisti e cassiere, addetti alle pulizie, con le famiglie per una grigliata. Una festa con pallone e ombrelloni, per non lasciare quel capannone a cui hanno finanche imparato a voler bene, come la Vincenzina di Jannacci.

Sono i 139 lavoratori della Coop che aveva aperto a fine anni 90 il grande ipermercato. Un'abitudine per gli avellinesi e per gli irpini, passare per la spesa all'Ipercoop. Al punto che ieri, davanti alla tenda dei dipendenti piantata stabilmente all'ingresso, sono arrivate diverse persone che, preso il carrello all'esterno, avevano pensato di entrare per fare acquisti.
 
«Dopo cento giorni di chiusura c'è ancora gente che arriva qui da noi», dice Antonio Ferraro, 55 anni, di Taurano, dal 98 in azienda, che con gentilezza e rimpianto manda via questi clienti troppo in ritardo. «Ho fatto tutti i lavori qui - dice - dal magazziniere al cassiere, ho rinunciato agli scatti di anzianità quando c'è stato un primo cambio di gestione. E ora mi trovo da tre mesi sotto la tenda».

Ieri mattina una decina al presidio; altrettanti, avevano trascorso la notte nella tenda blu con le bandiere scolorite da settimane al sole. «Ci siamo stati da Di Maio - dice Luigi Ambrosone, delegato della Cgil, un bimbo di 10 anni, e dal 98 al lavoro nel supermercato - Ci hanno dato appuntamento il 31 luglio e il 7 agosto, ora dobbiamo tornarci il 6 settembre. Avremmo voluto avere uffici aperti anche d'estate al ministero. Ma al tavolo l'azienda che è subentrata a Ipercoop, ha sempre ripetuto che gli esuberi restano e ha confermato la procedura di mobilità per tutti i dipendenti».

Una vicenda che era cominciata nel marzo scorso quando la Distribuzione centro sud, l'azienda partecipata di Coop Alleanza, aveva deciso di cedere il ramo d'azienda al gruppo calabrese Az dell'imprenditore Floriano Noto (presidente del Catanzaro Calcio e proprietario di 37 punti vendita a marchio Coop in Calabria e uno in Campania a Pontecagnano). «Ieri Noto si è comprato De Risio, un calciatore svincolato dell'Avellino, ci potrebbe mettere un pensierino anche su di noi», tenta la battuta uno dei lavoratori in sciopero. «Mi ricordo quei primi giorni di sciopero. Era la vigilia di Pasqua con tutti i banchi perfettamente preparati, decidemmo di rimanere chiusi», dice Pellegrino Lombardi, da venti anni in azienda.

Erano gli esuberi previsti dal gruppo Az a irrigidire i lavoratori. «Hanno calcolato il 50% di dipendenti di troppo», aggiunge Cinzia Ficuciello, 2 figli, stagionale fino al 2001 e poi assunta in pescheria. La chiusura il 19 maggio con riapertura dell'ipermercato a giugno con una nuova insegna, alla fine non avverrà mai.

Dal 10 maggio comincia il presidio dei lavoratori. Inutile il tavolo di trattativa alla Regione con gli assessori Palmeri e Lepore. Il tira e molla ha per risultato che la partecipata della Coop, la Distribuzione centro sud, dichiara sfumata la trattativa con l'imprenditore calabrese.

È il momento della solidarietà della città. In fondo si tratta di uno dei primi supermercati nati ad Avellino: un piccolo centro in cui tutti si conoscono. I banconisti e le cassiere sono volti familiari agli avellinesi. Arrivano i caffè e le torte ai dipendenti in sciopero. In migliaia firmano una petizione a Mattarella. Il 3 maggio i lavoratori scrivono a Papa Francesco: «Che una Tua parola possa servire a far cambiare idea alla Coop e invertire una idea della politica e della economia dove i lavoratori non contano più nulla. Siamo meno che numeri, neppure persone, appendici delle macchine da spremere per poi essere buttate via quando non servono più». Ad Avellino è piena campagna elettorale arriva il vice premier Di Maio che è anche ministro del lavoro, sale sul palco con la cartellina Ipercoop sulla vertenza. Annuncia che da quel momento i deputati dei territori parteciperanno alle vertenze dei loro concittadini quando arriveranno al Mise. E così al tavolo si siede Maria Pallini, la neo deputata Cinque Stelle.

Carmen Sanseverino, addetta al punto clienti e prima all'ufficio del personale, «ma con contratto da addetta alle vendite», spiega che quella mattina a Roma l'azienda portò le stesse proposte di sempre. «La Pallini spiegò a noi lavoratori quel che già sapevamo. Insomma si capì che la trattativa non sarebbe andata avanti».

I cinque deputati pentastellati eletti a marzo hanno avuto la loro prova del fuoco con la vertenza. Hanno promesso di combattere per i lavoratori. Che ora aspettano settembre. L'azienda sostiene che nonostante i 4 milioni investiti ad Avellino in tre anni, continuano ad esserci perdite per 6 milioni. I lavoratori insorgono. «Avete riempito gli scaffali di prodotti regionali pugliesi, i prodotti a marchio Coop sono spariti», dice Anna Cirillo, cassiera storica ma prima anche pasticcera, in venti anni di azienda.

Il segretario generale della Cgil Franco Fiordellisi: «La Coop ha anticipato tre mesi di stipendio ai lavoratori in sciopero: memore della filosofia originaria dell'azienda. Ma in una situazione come quella irpina e nazionale in cui il lavoro nero e il part-time fasullo sta costituendo condizioni di concorrenza sleale nel settore della grande distribuzione, sono indispensabili interventi ispettivi per mettere ordine nel settore».

Qualcosa accade, comunque, tra giugno e luglio scorsi, quando dopo l'annuncio della mobilità ritorna a farsi vivo il gruppo calabrese Az. Seguono i due incontri al Mise, la visita ad Avellino di Di Maio; arriva lo stop alla mobilità e l'ipotesi di assorbimento di una parte dei dipendenti nei negozi del Basso Lazio oltre all'ipotesi di un incentivo all'esodo o alla pensione per i più anziani. «Ho sessanta anni - dice Carmine Librera, macellaio - uscire ora significa andare a casa con una pensione di 400 euro. Dovrei lavorare fino al 2026 per mantenere la famiglia dignitosamente».

Ma ci sono anche storie più complesse come quelle degli addetti al merchandising o alle pulizie che sono arrivati in azienda attraverso le agenzie di lavoro interinale o contratti atipici. «Sono chiamata per l'allestimento delle promozioni - dice Alessandra Greco, 33 anni - Un lavoro che mi ha consentito di andare avanti fino ad oggi. Ma con la chiusura dell'ipermercato non ci sono altre strade per me. Se non quella dell'emigrazione. Sarò costretta a partire a fine mese. Nel piano industriale dei calabresi le nostre figure non sono contemplate».

Nel girone infernale della grande distribuzione, insomma, non c'è spazio per i prodotti di qualità alta. «Da noi venivano coloro che cercavano prodotti sicuri e garantiti, ora se ne farà un discount», dicono i dipendenti. E per loro, ormai dal lavoro in bilico, quando arriva ora di pranzo, occhieggia a due passi l'insegna di un discount: «Andiamo lì a fare spesa, ci arrangiamo con quel che c'è su quegli scaffali tristi. I nostri erano un'altra cosa».
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