Avellino, la povertà invisibile dei lavoratori
in nero: «Sono stati abbandonati»

Avellino, la povertà invisibile dei lavoratori in nero: «Sono stati abbandonati»
di Riccardo Cannavale
Venerdì 8 Maggio 2020, 08:25 - Ultimo agg. 13:14
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Oltre 500 richieste di aiuto al centro di ascolto Zaccheo di corso Europa, con un incidenza di circa 20 nuovi nuclei familiari che richiedono assistenza ogni settimana. Ed ancora: 500 pacchi alimentari consegnati nell'ultimo mese a fronte dei 320 del periodo precedente, con più di 120 pasti caldi preparati ogni giorno rispetto ai circa 30 che venivano serviti ai soli ospiti della casa della fraternità Antonio Forte di via Morelli e Silvati prima dello scoppio dell'emergenza Covid-19. In totale, oltre mille nuclei familiari assistiti in diversa forma.

Sono numeri impietosi, quelli raccolti dalla Caritas diocesana attraverso i centri di ascolto, il numero verde istituito a sostegno delle famiglie e le parrocchie cittadine. Numeri che raccontano lo stato di grave affanno in cui vive ormai la società avellinese. Ma che, soprattutto, suonano come una denuncia di un fenomeno noto, diffuso ma mai affrontato e colpito in maniera efficace. Oltre l'80% delle persone che chiede aiuto perché non ha più un piatto caldo da mettere a tavola lavorava a nero, senza un contratto, agli ordini di imprenditori locali. Gli stessi che, naturalmente, non hanno esitato a girare la faccia a quelli che solo fino a poche settimane fa erano i collaboratori grazie al cui lavoro sommerso vedevano crescere il proprio fatturato. «Basta fare due conti per comprendere la gravità della situazione - ammette Renato Tuccia, responsabile del centro di ascolto Zaccheo - Occorrerebbe che in tanti si facessero un esame di coscienza, a cominciare dai tanti che non hanno avuto alcuna sensibilità nei confronti di queste persone. Il Covid-19 sta facendo emergere in maniera violenta quello che è il dramma del lavoro nero nella nostra città. E non c'è più il tempo per girare la faccia dall'altra parte. Perché questo fenomeno si sta rivelando più diffuso di quanto si potesse immaginare».

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Agricoltura, servizi, edilizia i settori in cui, stando all'esperienza raccolta dai centri di ascolto Caritas, il sommerso sembra essere particolarmente diffuso. Il profilo dei nuovi poveri è quello più classico del vicino di casa, della persona al di sopra di ogni sospetto, che ha speso la sua vita a lavorare per sostenere la famiglia. E che ora si scopre vulnerabile, senza difese e con una dignità che fa a pugni con l'esigenza di chiedere aiuto. «Il numero verde è servito proprio a creare il primo livello di contatto, quello in cui ancora una persona non si espone de visu ma manifesta il primo disagio - evidenzia Renato Tuccia - La grande rete della Caritas, che ad Avellino con Carlo Mele, don Vitaliano Della Sala, i sacerdoti ed i tanti volontari è davvero efficiente, ha messo in piedi un sistema non solo per assistere le famiglie in difficoltà ma anche per intercettare tutte quelle situazioni in cui, magari, c'è vergogna a farsi avanti».

Al disagio concreto, che nasce dal non poter pagare le bollette o non avere risorse per fare la spesa, si aggiunge quello psicologico che scaturisce dall'improvviso nuovo status con cui in tanti si son visti costretti a fare i conti. Da un giorno all'altro. «Con il supporto della cooperativa Koinon di Mercogliano abbiamo fornito anche un supporto psicologico - aggiunge Tuccia - non solo di primo ascolto ma anche professionale in quei casi che destavano maggiore preoccupazione». Perché il vero problema che il virus invisibile sta facendo venire a galla è che in una città di medio piccole dimensioni come Avellino, la rete dei rapporti di vicinato è un punto di forza in tempi di pace ma diventa un ostacolo emotivo quando c'è da chiedere aiuto. «Spesso siamo costretti a recarci di nascosto o di notte a casa di queste persone ammettono i volontari della Caritas perché si sentono a disagio. C'è grande dignità in loro ma anche un'incapacità più che comprensibile nel gestire la nuova ed inattesa situazione». Il dramma che vivono queste famiglie lo riversa in faccia ai volontari l'immagine degli interni delle case. Dove basta guardarsi intorno per capire che, fino a ieri, lì si viveva senza grosse rinunce. Un incubo che in molti sperano possa essere passeggero. È l'ignoto a far paura.

Quell'ignoto che alimenta il timore di dover cambiare il passo dalla speranza alla rassegnazione.

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