Avellino, la corsa alle armi del clan
e la «faida» bloccata dal blitz

Avellino, la corsa alle armi del clan e la «faida» bloccata dal blitz
di Gianni Colucci
Sabato 2 Novembre 2019, 14:00
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Non è chiaro se l'escalation di acquisti di armi sia partita nel 2018, o il clan si riforniva regolarmente di grossi quantitativi di munizioni. Insomma, non si è ancora ricostruito il rapporto tra questi rifornimenti di materiale e una eventuale strategia del «Nuovo Partenio» che facesse pensare ad azioni violente, pianificate da tempo e pronte ad essere messe in pratica.

Che alcuni importanti personaggi del clan siano in carcere sterilizza al momento la faida. E le parole del boss ergastolano Amedeo Genovese dal carcere dopo la notizia dell'attentato al figlio Damiano lo dicono chiaramente: è tempo di lasciar stare, azzerare i motivi di conflitto, e prendere atto della sconfitta, almeno momentaneamente.

L'organizzazione di Pasquale Galdieri, a seguire il filo dalle intercettazioni della Dda, è in grado di procurarsi armi da guerra. Nelle intercettazioni si parla delle micidiali Glock (si tratta di armi semiautomatiche che hanno la particolarità di non essere di metallo ma di polimeri plastici). Ma c'è un'analisi attenta anche delle munizioni 7,65 parabellum (è una munizione per arma corta ottenuta montando una pallottola calibro 7,65 (o 0,30 pollici) su un bossolo lungo 21 mm).

Le armi arrivano in scatole chiuse o nascoste in calzini se si tratta di munizioni. Galdieri con i suoi collaboratori è in grado di esaminarle e di giudicarle dalla lunghezza del bossolo e dunque comprendere se sono adatte alle armi di cui dispongono. A lungo discutono di come rifornirsi e quale sia la modalità per sfuggire ad ogni controllo.

Insomma armi e munizioni che arrivano dal Casertano a da organizzazioni criminali ben strutturate, sono ampiamente disponibili al clan.

Acquisti che possono essere fatti attraverso intermediari con i quali ci sono contatti diretti, oppure anche attraverso cataloghi scaricati da internet.

Le armi sono tenute in un garage a rione Mazzini dove i carabinieri effettuarono una perquisizione, ma anche a casa di Carlo Dello Russo a Mercogliano. In un'occasione nel corso di una perquisizione un'arma da guerra venne lanciata nel giardino proprio mentre i carabinieri erano sull'uscio.

E le parole che Amedeo Genovese dice in carcere al figlio Francesco sono trasparenti segnali della vacillante intesa tra il vecchio clan Genovese e il nuovo diretto da Galdieri.

Anche il boss in prigione capisce che il livello di violenza è altissimo, e che può trasformarsi in una carneficina. Innanzitutto Damiano Genovese dopo l'attentato di settembre finisce ai domiciliari perchè trovato in possesso di una pistola rubata. Francesco spiega (ma le intercettazioni contengono parecchi omissis) che il fratello oltre ad essere stato vittima dei danneggiamenti ha subito la perquisizione domiciliare con il rinvenimento della pistola, a causa di una «infamata», poichè i carabinieri hanno riferito di aver ricevuto la notizia da fonte confidenziale. Il vecchio boss conclude: «Quello si muore Francesco...». E Francesco che crede che sia una considerazione filosofica, tanto da replicare: «Siamo di passaggio papà», si sente chiarire: «No, quello si muore con queste cose, quello si pensa che non lo toccano, ma oramai ha perso tutto il rispetto, altrimenti non lo facevano». E ancora: «Gli devi dire Damiano lascia tutto come sta perchè abbiamo perso tutto il rispetto! Questa è una cosa che non la doveva fare, hai capito? Questa cosa che hanno fatto a tuo fratello... E perciò Damiano deve andare a lavorare e basta».

Quindi l'ulteriore specificazione sull'azione militare: «Anche a Sergio Capo e zoccola hanno messo la bomba nella macchina», dice Francesco come a completare il quadro. Amedeo mette allora una prospettiva nel conto: «Dici - rivolto al figlio - papà ha detto così, falla finì per adesso, poi piano piano si vedrà. Fra cinque, sei anni, due anni, uno, si vedrà».

Quindi la conclusione quasi profetica (il colloquio è di fine settembre gli arresti avvengono qualche settimana dopo): «Ad Avellino si sa tutto e la legge sa tutto».
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