Camorra, gestione dei beni confiscati:
«Così si rinasce e si crea lavoro»

Camorra, gestione dei beni confiscati: «Così si rinasce e si crea lavoro»
di Gianrolando Scaringi
Lunedì 16 Settembre 2019, 13:24
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Si è conclusa ieri l’edizione 2019 della Summer School UCSI – scuola di giornalismo investigativo, dedicata nel 2019 al fenomeno delle economie criminali – in programma da venerdì scorso a Casal di Principe (Caserta) nella cosiddetta «Villa Scarface», bene confiscato al fratello del capoclan dei Casalesi, Walter Schiavone, attualmente in gestione all’ASL Caserta che ha realizzato un Centro diurno per la salute mentale.
L’ultima giornata di incontri è stata animata da una tavola rotonda dedicata alla gestione virtuosa dei beni confiscati alle mafie, argomento – delicato ma attuale per le amministrazioni in terre ad alta penetrazione di criminalità organizzata – che ha goduto, tra le altre, delle relazioni di Nicolò Nicolisi, sindaco di Corleone e presidente del Consorzio «Sviluppo e Legalità», di Giovanni Allucci, amministratore dell’Agenzia Pubblica per lo Sviluppo della Legalità «Agrorinasce», e del prefetto Bruno Frattasi, direttore dell’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla Criminalità Organizzata.

«Il solo nome della città di Corleone – dichiara il sindaco Nicolò Nicolosi – ha un potere mediatico enorme e va sfruttato in positivo per la rinascita della nostra terra. Nei primi cinque anni di vita del Consorzio “Sviluppo e Legalità” abbiamo incontrato enormi difficoltà con diversi tentativi di infiltrazioni mafiose. Oggi, i beni confiscati sono realtà produttive e rappresentano un messaggio sociale che diamo quotidianamente alla comunità. Dai beni confiscati sono nati a Portella della Ginestra un centro ippico intitolato al piccolo Di Matteo, ucciso senza pietà dal mafioso Giovanni Brusca, a San Giuseppe Jato è nato “Il Giardino della Memoria” per fare sport, teatro e divertirsi ma soprattutto per trasmettere la serenità a tutti i bambini, a Corleone c'è la cooperativa “Lavoro e non solo” che produce diversi prodotti tipici delle nostre campagne. Il consorzio è nato nel 2000 e comprende otto Comuni del territorio, da Corleone a Monreale, e gestisce in totale 29 fabbricati, 3 cooperative e 900 ettari di terreno con aziende che producono prodotti biologici con un fatturato di 5 milioni di euro».

«Agrorinasce prende il via nel 1998 – dichiara Giovanni Allucci, presidente dell’agenzia – grazie ad uomini dello Stato che avevano sposato la via della prevenzione, come Franco Roberti. È una società consortile con capitale interamente pubblico costituita da sei Comuni (Casal di Principe, Casapesenna, San Cipriano d’Aversa, Villa Literno, San Marcellino e Santa Maria La Fossa) allo scopo di rafforzare la legalità in un’area ad alta densità criminale. Gestisce 157 beni confiscati alla camorra interessati da azioni di recupero ad uso sociale e pubblico, 69 immobili, 300 ettari di terreno agricolo e circa 30 realtà che operano nel terzo settore con oltre 200 addetti. Nonostante i numeri positivi, non è facile gestire i beni confiscati alla camorra: la villa in cui siamo oggi è stata sequestrata nel 1994, confiscata nel 1998 e solo nel marzo 2019, dopo oltre 20 anni, è rinata. I processi di riqualificazione vanno snelliti e velocizzati, bisogna collaborare ed agire in maniera sinergica, altrimenti diventa molto difficile restituire alla società i beni confiscati alla malavita».
 


Accanto agli esempi eccellenti dai territori, l’intervento del prefetto Bruno Frattasi traccia il profilo della attuale situazione dell’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla Criminalità Organizzata: «l’Agenzia nazionale è nata nel 2010 con non poche difficoltà e fino ad oggi ha vissuto di precarietà, soprattutto per la gestione del suo organico non formato ad hoc ma proveniente da altre realtà pubbliche. Ciononostante, abbiamo prodotto tanto nella gestione dei beni confiscati. Attualmente sono due le priorità: fare sistema e valorizzare i beni confiscati e, soprattutto, tenere in vita le imprese anche per tutelare quei soggetti che altrimenti perderebbero il lavoro, senza avere nessuna colpa, a seguito della confisca. Un problema, questo, che ci tocca da vicino poiché la stragrande maggiorante delle imprese confiscate, senza la protezione dei clan e senza il continuo afflusso di denaro illegale pronto a foraggiarle, vanno verso il sicuro fallimento».
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