Muti: «De Simone anima di una Napoli capitale: il San Carlo gli renda omaggio»

Muti augura all'amico ancora tanti anni di operosità

Riccardo Muti
Riccardo Muti
di Donatella Longobardi
Martedì 15 Agosto 2023, 09:26
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«Il San Carlo? Spero gli renda un doveroso tributo, Roberto De Simone ha fatto tanto per il teatro e per Napoli, in senso non provinciale, ma europeo. La sua Napoli è una vera, grande capitale, come lo era nel Settecento quando gareggiava con Londra e Parigi».

Riccardo Muti si definisce non solo «fraterno amico» ma anche «estimatore» del maestro che compie novant'anni il 25 agosto. E, attraverso queste pagine, gli invia gli auguri per «tanti, tanti anni ancora di vita e di operosità». Il grande direttore napoletano, in questi giorni impegnato al festival di Salisburgo per il tradizionale concerto di Ferragosto con i Wiener Philharmoniker - una volta prerogativa di Karajan - non ha voluto far mancare le sue parole nel ricordo di una fitta collaborazione sviluppatasi in lunghi anni di amicizia e carriera comuni.

Dunque maestro Muti, con De Simone vi conoscete da sempre?
«Da ragazzi ci incrociavamo al San Pietro a Majella quando io entrai in Conservatorio a Napoli per studiare con Vincenzo Vitale, lui aveva qualche anno in più di me...».

E poi?
«In effetti De Simone fa parte della mia vita professionale da quando, negli anni Sessanta, diressi con l'orchestra Scarlatti a Napoli alcune opere del Settecento. Erano "La Dirindina", una farsetta di Domenico Scarlatti e "Chi dell'altrui si veste presto si spoglia" di Cimarosa, uno dei titoli più lunghi in cui io mi sia imbattuto nel mondo della lirica.

Lui era il giovane cembalista e naturalmente tra di noi si instaurò subito una intesa artistica e culturale. Tra gli altri cantava Sesto Bruscantini... E a quei tempi Napoli si interessava molto della riscoperta della grande storia musicale della città, c'erano molte iniziative...».

Una riscoperta in cui De Simone è stato determinante, le pare?
«Roberto è un personaggio geniale che incarna l'anima di Napoli nella sua totalità e nella sua storia. Con la sua cultura infinita, De Simone rappresenta l'anima del popolo napoletano assunta a carattere universale, dalle sue radici nasce una cultura e una spiritualità più vaste di Napoli stessa. Penso alla sua "Gatta Cenerentola" al legame che l'opera ha con la storia e le tradizioni popolari locali essendo contemporaneamente rivoluzionaria e innovativa».

Napoli, però, è spesso matrigna.
«Già. Mi fa riflettere il fatto che la città sia stata così ingrata verso un personaggio tanto geniale. Evidentemente le sue qualità non sono state assecondate, non ha mai avuto riconoscimenti. Il suo spirito libero, il coraggio di dire le proprie opinioni e lanciare strali ogni volta che riteneva necessari ne hanno fatto un profeta non amato in patria. Anche se, mi si lasci dire, non ha mai fatto nulla per suo bene personale tant'è che continua a vivere in una casa in affitto e con una magra pensione».

Lei diceva del San Carlo.
«Perché De Simone ha fatto tanto al San Carlo e per il San Carlo. Come regista, compositore e anche come direttore artistico al fianco del sovrintendente Francesco Canessa. È stato una figura fondamentale, uno studioso che conosce come pochi la storia e la musica, non solo napoletana».

Ed è stato direttore del conservatorio di San Pietro a Majella.
«Dove ha contribuito in maniera determinante alla salvaguardia della biblioteca e alla catalogazione di tutti i preziosissimi manoscritti conservati che rischiavano di andare perduti. Ma che tristezza. So che hanno in programma lavori importanti finanziati dalla Regione che dovrebbero iniziare tra breve... L'ultima volta che sono entrato lì, in occasione della festa per i miei ottant'anni, ho visto un edificio vecchio, a tratti fatiscente. In un'altra nazione un edificio di tale importanza mondiale verrebbe considerato un fiore all'occhiello, a Napoli aspetta da anni di essere ristrutturato e rivalutato. È inconcepibile che la biblioteca, dove sono conservate pagine che raccontano la storia della musica da Paisiello a Cimarosa, da Vinci a Jommelli e Scarlatti, sia sempre considerata una biblioteca scolastica e si fanno enormi sacrifici per tenerla regolarmente aperta agli studiosi di tutto il mondo...».

Anche lei per cinque anni ha portato al festival di Pentecoste a Salisburgo opere del 700 partenopeo e si è speso in tantissimi appelli, spesso caduti nel vuoto. Cosa fare?
«Sperare che presto si inverta la rotta. Dietro le spalle Napoli ha una storia strepitosa. E nessuno come Roberto De Simone incarna il significato tragico e comico insieme di questa storia. Pochi come lui hanno messo in scena questi sentimenti riuscendoci in modo magistrale. Mi vengono in mente, ad esempio, alcuni spettacoli che anni fa realizzammo insieme a Vienna al Theater an der Wien che subito conquistarono il pubblico e la severa critica austriaca. Solo lui poteva creare come regista un "Così fan tutte" indissolubilmente legato a Napoli e a certe nostalgie mediterranee e un "Don Giovanni" che attraversava epoche e secoli per dire che la sua figura era sempre esistita e sempre esisterà».

Ha messo in evidenza l'anima napoletana anche nei capolavori di Mozart?
«Naturalmente. E capisco come oggi un passato così pesi sulle spalle. De Simone è stato, a suo modo, ripeto, un personaggio scomodo. Per questo non posso non augurargli che finalmente Napoli si ricordi di lui e gli renda il doveroso omaggio anche tutelando la sua preziosa eredità. Così mi piace fargli gli auguri con alcuni versi di Salvatore Di Giacomo che ho molto a cuore:
"Scetate scetate Napule na
puozze na vota resuscità.
Scetate, scè, Napule, Na'!"».

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