Carmen Pellegrino nella cinquina del premio Campiello: «Io, marginale e me ne vanto»

Carmen Pellegrino nella cinquina del premio Campiello: «Io, marginale e me ne vanto»
di Gino Giaculli
Sabato 29 Maggio 2021, 08:00
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Campania nella finale del Premio Campiello 2021. Paolo Nori con Sanguina ancora (Mondadori) e Andrea Bajani con Il libro delle case (Feltrinelli) sono entrati al primo turno con 7 voti, al secondo con 7 voti a Paolo Malaguti autore di Se l'acqua ride (Einaudi), al ballottaggio Giulia Caminito con L'acqua del lago non è mai dolce (Bompiani) e la campana Carmen Pellegrino, originaria di Postiglione degli Alburni, in provincia di Salerno, con La felicità degli altri (La nave di Teseo). Ecco quindi la cinquina della 59/a edizione del Campiello, promosso dalla Fondazione Il Campiello-Confindustria Veneto, decretata ieri in presenza a Padova dalla giuria dei letterati, presieduta da Walter Veltroni e composta da personalità del mondo letterario ed accademico, tra cui Silvia Calandrelli, direttrice di Rai Cultura e Roberto Vecchioni. Il vincitore del Campiello, scelto dalla giuria popolare, sarà proclamato il 4 settembre, per la prima volta all'Arsenale di Venezia, in una cerimonia presentata da Andrea Delogu. A Daniela Gambaro per Dieci storie quasi vere (Nutrimenti) il Campiello Opera Prima.

Per Carmen Pellegrino è un bis, era già stata in cinquina nel 2015 con Cade la terra (Giunti).

Ora torna con La felicità degli altri, con la protagonista Cloe che tenta di ricomporre i pezzi di un passato traumatico e che incontra però un' ancora, un professore di Estetica dell'ombra. 

Pellegrino, è contenta per questa decisione?
«Contentissima. Una cosa per me del tutto inaspettata. Ero già entrata in cinquina, ci speravo ma non pensavo di farcela».

E invece ha fatto il bis.
«Ho seguito con ansia la diretta, poi, alla notizia, mi è venuto da piangere. Il Campiello è un premio molto autonomo, nell'altra edizione Cade la terra arrivò terzo, sono stata contenta lo stesso».

Sì, ma adesso che succede?
«Non ci penso, con Cade la terra sono stata finalista in tanti premi. Va benissimo così. Io teorizzo la forza che può venire dalla fragilità. E ora in cinquina siamo tutti vincitori. Mi piace partecipare, i miei libri non sono best seller, vanno cercati con pazienza, però mantengo questa coerenza, come le storie che scrivo. Malinconiche, perché vado a pescare nella marginalità. È un'idea di letteratura che non va per la maggiore, ma è un rischio che mi prendo. Le storie che scrivo sono queste e sono contenta».

Lei racconta di Cloe, una donna che da piccola ha vissuto delle sofferenze e che prova a ricostruirsi.
«È una storia di anastilosi, una tecnica di ricostruzione invocata in archeologia per gli interventi sulle rovine, ricostruendo con pezzi originali, cosa che non si può fare sempre. Cloe ha perduto pezzi dalla sua gioventù, c'è qualcosa da cui fugge. Preferisce evitare di attraversare le ombre».

Ma la sua ricostruzione passa per l'incontro con un docente di Estetica dell'ombra.
«Si trovano a Venezia, camminano di notte, parlano o stanno in silenzio, c'è un riconoscimento reciproco, si danno del lei: lui è un prof anziano, lei si è sempre vista come una bambina non amata. Il professore le offre una mano ad attraversare l'ombra, però non la tira fuori dai guai, le tiene compagnia, e nasce un'amicizia, non una relazione sentimentale. E Cloe aiuta lui, che pure si sentiva invisibile e ora si sente importante per qualcuno e questo salva».

È il dialogo che ridà la vita?
«È il riconoscimento dell'altro come essere umano, l'accogliere l'altro nelle fragilità, senza paura. Il professore la aiuta a dialogare con i suoi fantasmi».

Dedica il libro agli «ammutoliti abitanti del buio», chi sono?
«Quelli che non si sentono percepiti, visti, che si chiudono nel mutismo, cui nessuno porge un braccio. Ma una grossa mano può venire nel sentirsi accolti dagli altri con le proprie ombre. Come amico. Bisognerebbe essere più compassionevoli con gli altri e con noi stessi».

Ha allargato le sue ricerche a borghi e rovine, ed è definita una «abbandonologa». Cosa fa una «abbandonologa»?
«Va a guardare ciò che non si vuol vedere, il più possibile per cogliere fragilità ambientali e umane. Ci può essere una risorsa nelle crepe, nel vedere una casa senza tetto ma che è restata in piedi e trarre forza delle ferite. Senza aver paura dei fallimenti». 

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