Di questi tempi essere felici è un imperativo categorico imposto più o meno subdolamente a tutti, perché solo chi è felice consuma, non si fa molte domande, non scende in piazza. E poi pensare al peggio porta male, lo suggeriva anche Einstein: «è meglio essere ottimisti e avere torto piuttosto che essere pessimisti e avere ragione». Bisogna scommettere sul lieto fine, insomma, in ogni occasione. Contro questa imposta visione della vita il napoletano Antonio Pascale, l'anno scorso finalista al Campiello con La foglia di fico (Einaudi), ha scritto L'altra scommessa (Marsilio, pagine 128, euro 12), prendendo spunto dal più famoso degli azzardi del filosofo Blaise Pascal, di cui si sono celebrati i 400 anni dalla nascita il 19 giugno, che invitava a puntare sull'esistenza di Dio, perché tanto «se vincete, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla».
Utilizzando lo stesso calcolo di convenienza, Pascale sposta le aspettative di vincita sull'essere pessimista, perché è più conveniente puntare sul futuro da incubo anziché su quello da sogno, per tanti motivi.
Il pessimista non spera e non si aspetta niente e così non va incontro a delusioni.
Il pamphlet di Pascale, che si definisce «ateo meridionale» e dunque in grado di non credere ma festeggiare l'onomastico, è ironico, zeppo di riferimenti personali e aneddoti autobiografici, leggero al punto giusto con rimandi a temi delicati come l'errore della natura di dotarci di una coscienza, l'impossibilità di comprendere davvero come funziona il cervello, il potere dello storytelling, il libero arbitrio e ovviamente molte pagine dedicate alla scommessa su Dio e su quanto, se davvero esiste, abbia voglia di influenzare i nostri destini.
Avvertenza: il libro è poco raccomandabile a chi deve affrontare un momento difficile, potrebbe suicidarsi prima di scoprire che era un falso allarme, e conveniva affrontare la sfida con la speranza dell'ottimista.