Fondi europei, sì ai tagli
ma il Mezzogiorno è salvo

Fondi europei, sì ai tagli ma il Mezzogiorno è salvo
di Nando Santonastaso
Mercoledì 4 Dicembre 2019, 08:18 - Ultimo agg. 15:15
3 Minuti di Lettura
L'accordo non c'è, i tagli sì. Per il futuro della Politica di coesione europea, il serbatoio per intenderci dal quale sgorgano i Fondi strutturali per gli Stati membri, linfa vitale soprattutto per le regioni più deboli come tutte quelle del Mezzogiorno, si profila una riduzione del 15 per cento per la programmazione 2021-2027. Parliamo di circa 50-60 miliardi di euro in meno per la durata complessiva del nuovo ciclo anche se per l'Italia le conseguenze non dovrebbero essere particolarmente negative.

LE CONFERME
Nel senso che la dotazione complessiva dei due Fondi più importanti, il Fesr (Fondo europeo di sviluppo regionale) e l'Fse (Fondo di sviluppo europeo) non dovrebbe essere diversa alla fine da quella ottenuta per l'attuale programmazione 2014-2020. E cioè, circa 33 miliardi di euro di cui quasi 23 miliardi per le Regioni del Sud da spendere entro marzo 2023 (ogni ciclo prevede infatti una coda di oltre due anni rispetto alla scadenza originaria, per portare a termine tutti i progetti ancora in corso e documentare le relative rendicontazioni). Il rovescio della medaglia però non manca. Nel senso che quasi certamente saranno ridotte le risorse destinate all'agricoltura che non sembrano mai strategiche e che invece assumono un valore tutt'altro che secondario per i Paesi mediterranei. In secondo luogo, non ci saranno incrementi nell'assegnazione dei fondi che pure erano sembrati possibili: si era parlato nei mesi scorsi di un più 6 per cento, ad esempio, per il nostro Paese, soldi che avrebbero fatto comodo ancora una volta alle aree più deboli.

LA PESSIMA CRESCITA
Il fatto che Fesr e Fse non dovrebbero subire tagli, peraltro, non è frutto di particolari meriti dell'Italia anche se è indubbio che con il nuovo governo giallorosso l'attenzione al nostro Paese sembra essere diventata meno ossessiva del recente passato. È la conseguenza al contrario della nostra pessima crescita: l'Italia fanalino di coda nell'Unione europea per il Pil (0,2 per cento quest'anno, 0,4 per cento previsto per il 2020) si salverebbe proprio per la dinamica negativa del prodotto interno lordo. Non crescendo, diventa eleggibile, come dicono i tecnici, per avere finanziamenti più consistenti in rapporto agli altri Paesi. Naturalmente restano in piedi tutti gli allarmi lanciati anche nelle scorse settimane dalla Commissione dell'Unione europea a proposito della lentezza con la quale spendiamo i soldi già disponibili; e soprattutto per la carenza di investimenti nazionali per il Mezzogiorno a corredo dei fondi europei. Carenza che, come più volte documentato, ha trasformato i fondi della Politica europea di coesione nell'unica fonte di finanziamento ordinario e non aggiuntivo della spesa pubblica al Sud.

LE POLEMICHE
In ogni caso sui tagli alla Coesione 2021-2027 i conti non sono ancora chiusi. La proposta della Commissione, che vuole ridurre il bilancio dell'Unione europea dall'1,16 per cento del Reddito nazionale lordo dei 27 Paesi membri in vigore nell'attuale programmazione, all'1,07 per cento per quella 2021-2027, è già al centro di forti polemiche. Ieri sera ad esempio è stato il presidente del Comitato europeo delle regioni, il belga Lambertz, a discuterne con la neo-commissaria portoghese per i fondi europei Elisa Ferreira. Il Comitato e l'europarlamento spingono per una riduzione all'1,03 per cento e sono pronti a dare battaglia. Lo scenario non si presenta però agevole: dietro l'entità del taglio, ci sono infatti i cosiddetti paesi falchi, dall'Olanda agli scandinavi ai quali si è aggiunta però anche la Germania, che non vedono di buon occhio una distribuzione così elevata di risorse a Paesi comunque considerati ricchi e dunque capaci di risolvere i problemi di crescita interna a prescindere delle risorse dell'Unione europea. Ogni riferimento all'Italia non è puramente casuale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA