«Ci crediamo, vogliamo giustizia per Serena». E’ il coro unanime che si alza a poche ore dalla pronuncia della Corte di Cassazione, in calendario per oggi, 11 marzo, sull’omicidio di Serena Mollicone, assassinata il primo giugno 2001 ad Arce.
Un mistero lungo 24 anni, sul quale si sono consumati colpi di scena, indagini e un primo processo a carico di Carmine Belli, assolto in tutti i gradi di giustizi. Ora i supremi giudici della Prima sezione dovranno valutare il ricorso della procura generale che, lo scorso autunno, ha impugnato l’assoluzione degli imputati Franco, Marco e Annamaria Mottola. A pronunciare la sentenza era stata la corte d’assise d’appello di Roma che, il 12 luglio 2024, aveva confermato la sentenza di assoluzione della corte d’assise di Cassino, per tutti gli imputati e ora, dunque, potrebbe essere scritta la parola fine sul caso, oppure riaprire un nuovo processo d’appello. Gli Ermellini si troveranno a valutare la sentenza d’appello che in più punti, se pur focalizzando l’attenzione sui principali elementi dell’accusa, come la porta-arma del delitto, le dichiarazioni del brigadiere Tuzi e i presunti depistaggi dell’ex maresciallo Franco Mottola, conclude per «la mancanza di prove». Per i giudici d’appello, la «ricostruzione dell'accusa è lacunosa e non è certa la morte in caserma». Più netta la posizione sul movente definito «evanescente» incastrato in un «compendio probatorio insufficiente e contraddittorio». E ciò «impedisce di individuare negli imputati Mottola, o alcuni di loro, quali responsabili dell'omicidio di Serena Mollicone».
Ma l’accusa nel ricorso del sostituto procuratore generale Deborah Landolfi, insiste: «La ragazza era in caserma il giorno dell'omicidio». Spiegando, poi, che il «giudice, pur riconoscendo la valenza accusatoria degli elementi, non solo dichiarativi, acquisiti in atti, ne ha neutralizzato la rilevanza senza una spiegazione logica e comprensibile, limitandosi a considerazioni meramente assertive, senza valorizzazione di ipotesi alternative concretamente sostenibili». Ciò vuol dire che la sentenza “non fila” sul lato logico e sulle motivazioni. Va riscritta da altra corte d’assise d’appello. Sarà così?