Nuovo trionfo, il fioretto pigliatutto
dopo l'oro delle donne, bis degli uomini

Nuovo trionfo, il fioretto pigliatutto dopo l'oro delle donne, bis degli uomini
Lunedì 6 Agosto 2012, 10:18 - Ultimo agg. 13:52
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dall' inviato Nino Cirillo

LONDRA - Sar pure complicata, esclusiva, litigiosa, ma questa scherma italiana fa sognare. riuscita a trasformare la Fencing Arena che si affaccia sui docklands in una specie di seconda Casa Italia, giorno dopo giorno, mattone su mattone. Una casa dove si sfornano medaglie e mica biscotti. Come l’oro conquistato ieri sera nel fioretto a squadre contro il Giappone, 45-38, poco prima che Bolt scendesse in pista: una rabbiosa cavalcata che ha portato a Baldini la medaglia tanto attesa, a Cassarà la conferma di essere un campione, ad Avola la promessa che il futuro sarà lui e ad Aspromonte «la felicità di essere qui». E ha ragione, alla Fencing Arena, a essere italiani, in questi giorni si è stati spesso felici: questa è la settima medaglia della scherma alle Olimpiadi di Londra, un bottino identico a quello di Pechino ma molto più nobile. Perché in Cina furono due ori e cinque bronzi, qui invece brillano tre primi posti, due argenti e altrettanti bronzi. Le statistiche impazzano: la scherma italiana, da quando viene ai Giochi, ha preso qualcosa come 121 medaglie e si ripete da sola, guardandosi alla specchio, che è la seconda federazione al mondo, seconda solo l’atletica statunitense.



Un’altra giornata campale, un po’ come quella che avevano regalato le ragazze, Valentina e le sue ancelle. Un quarto di finale incredibilmente ostico con la Gran Bretagna perché qui gli inglesi provano ad andare sul podio anche se dovesse trattarsi di giocare a rubabandiera. Ha sbrogliato la matassa, più degli altri, Andrea Cassarà, carabiniere di Brescia, 45-40 il risultato che li ha portati in semifinale.



Poi gli Stati Uniti e anche una specie di svolta tattica, firmata dal ct Stefano Cerioni. Fuori Aspromonte, che a sorpresa era stato portato a Londra come titolare, per dirla con linguaggio calcistico, e dentro Giorgio Avola, 23 anni, da Modica, provincia di Ragusa, finanziere, ma soprattutto numero 3 al mondo nel ranking, quello che il posto avrebbe potuto averlo quasi di diritto fin dall’inizio.



Avola, che sarà il più giovane ma non è certo inesperto (ci sono già quattro titoli europei nel suo carniere), ha dato la scossa che serviva: gli Stati Uniti, in semifinale, non sono stati battuti ma strapazzati: 45 a 24 il punteggio finale. Toccava al Giappone, il Giappone di Yuki Ota, forse l’unico schermidore al mondo che può competere alla pari con gli azzurri, che può guardarli in faccia, che può anche batterli.



Eppoi c’era da fare i conti - e il ct Cerioni li ha fatti bene - con la scherma tipica dei giapponesi, anzi, asiatica in generale, molto più fisica, molto più aggressiva, molto meno classica di quella italiana. S’annunciava una sfida all’ultima stoccata e cosi è stata, con il Giappone di poco in vantaggio all’inizio e poi via via spalla a spalla fino all’ultimo incontro di Baldini. Lui come la Vezzali: s’è preso sulle spalle la squadra e l’ha portata in paradiso, 45-38, giapponesi increduli e travolti.

E’ una medaglia d’oro che, al di là dello straordinario risultato sportivo in sé, porta tanti altri segni, tante storie. A cominciare da Andrea Baldini, questo furetto livornese che a Pechino non poté esserci, perché bloccato da un’accusa di doping rivelatasi infondata, che nell’individuale ha preso solo un bronzo rabbioso e che casa senza l’oro non voleva proprio tornare. E poi Cassarà, deluso anche lui dall’individuale, sconfitto proprio dai Baldini ai quarti dopo aver speso il meglio a domare proprio Ota, tormentato da un’infezione misteriosa che ancora non lo molla.

E ancora Avola, che viene dal paese di Quasimodo ma anche da quello di Giorgio Scarso, il presidente della Federscherma, da quella Modica barocca che è tanto bella da essere stata dichiarata Patrimonio dell’umanità. Una barbetta ispida, un sorriso felino e la consapevolezza che un’autostrada gli si è aperta davanti. E infine Aspromonte, romano, finanziere come Avola, alla prima olimpiade come lui: avrebbe mai potuto immaginarla una conclusione così?

Ma questo oro potrebbe aver fatto di più, potrebbe aver definitivamente seppellito i veleni che rovinarono la spedizione di Pechino, potrebbe aver fatto ritrovare una squadra, una squadra vera, e rasserenato finalmente un ambiente. Sarebbe bello, no?