Spagna, l'orgoglio di Del Bosque:
«Noi siamo lo spot del calcio bello»

Esultanza Spagna
Esultanza Spagna
di Ugo Trani
Sabato 10 Luglio 2010, 16:59 - Ultimo agg. 11 Luglio, 13:41
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JOHANNESBURG (10 luglio) - Facciamo proprio una bella pubblicit al calcio. Il sessantenne Vicente Del Bosque ha il broncio adorabile e rassicurante del pap che sa con chi deve trattare ogni giorno. Che si mangia con gli occhi i suoi bravi ragazzi, mentre si allenano al campus di Potcheftroom, citt universitaria della provincia nord occidentale. E che va orgoglioso della sua Spagna. Ma non perché per la prima volta è in finale in un mondiale e perché può copiare la Germania, unica a vincerlo finora due anni dopo aver conquistato l’Europeo. Per il comportamento di quelle che non sono più le furie rosse. «Qui si gioca e basta» dice, senza troppa diplomazia e sempre con grande educazione. Come nel 2006, il premio Fair Play spetta a questa nazionale che, per il suo straordinario possesso palla, lascia agli avversari brutte entrate e inutili cattiverie.



La Spagna, dunque, è la faccia buona del mondiale: la correttezza prima dello spettacolo. Solo 3 ammonizioni in 6 partite, solo la Corea del Nord, con 2 gialli, è stata più brava, ma per 3 gare, quante ne ha disputate prima di salutare il Sudafrica. Nessun cartellino rosso e neanche uno squalificato: Del Bosque lo considera lo spot migliore per il movimento, a prescindere dal risultato di domani sera al Soccer City. «Questo gruppo non ha bisogno di dare calci. Fa sempre la partita. Sono gli altri che devono preoccuparsi di fermare i miei giocatori in tutti i modi. Meno male che l’Olanda è comunque una nazionale che, come la mia, pensa a giocare». Ma mai quanto quella di Xavi, Iniesta e Villa. Solo 62 falli commessi, poco più di 10 a match, contro i 106 subìti. Botte, insomma, ne prendono, senza restituirne.



E anche se Busquets spiega che «non sarà mai l’arbitro a decidere una finale del mondiale e se hanno scelto l’inglese sta a significare che merita di esserci: noi dobbiamo solo preoccuparci dell’Olanda», i giocatori spagnoli non sono affatto contenti della designazione di Webb, contestato duramente dagli stessi dopo la partita persa contro la Svizzera, la prima del mondiale. Busquets tratta Webb come Marchena fa con il polpo che stavolta dice Spagna: «Bueno, es un pulpo». Solo quello. Perché la storia della finale la faranno i campioni. Che qui sono quelli del Barcellona, club che dà un’impronta alla Spagna di Del Bosque. E che studia anche come far gol. Puyol, nell’intervallo della gara con la Germania, è andato da Xavi a preparare il match-ball. «Mi devi mettere la palla sul dischetto, appena capita un corner da sinistra». Piquè fa il blocco e Puyol salta in libertà e va a segnare di testa il gol decisivo. Nell’abbraccio di gruppo, si legge il labiale di Piquè: «Bernabeu!», l’esclamazione dell’altro centrale difensivo. E’ il ricordo di un successo storico del Barça in casa madridista, 6 a 2 e con una rete di Puyol da calcio d’angolo. Il capitano del Barça racconta che però nello spogliatoio non se n’è parlato, per rispetto a Casillas, il capitano della Spagna che quella palla ha raccolto nella porta del Real. Puyol confida: «Dopo il mondiale, potrei dir basta con la nazionale e concentrami sul club». Intanto è, proprio con Casillas, il segreto della difesa che, come all’Europeo, non prende reti nelle gare da dentro o fuori. Rendimento all’italiana, tornando al 2006.



«Sacrifico il mio portafoglio per il titolo» dice Busquets. Ma il primo è già andato: furto in albergo a Durban, aspettando la Germania. Ora l’Olanda, rispettata e ringraziata perché «Cruijff e Van Gaal hanno lavorato bene per noi, nella cantera del Barça. C’è la loro impronta qui, come quella di Rijkard e del suo quattro-tre-tre».