Parco Marinella terra di nessuno, ecco la Rogoredo di Napoli

Parco Marinella terra di nessuno, ecco la Rogoredo di Napoli
di Maria Chiara Aulisio
Lunedì 4 Febbraio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 09:29
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Neanche baracche si possono definire. In realtà sono pezzi di plastica, stracci, tagli di lamiera e avanzi di cartone messi insieme per proteggersi dall'umido, dalla pioggia e dal freddo della notte. Tuguri, catapecchie, ricoveri di fortuna nel fango e nell'acqua circondati da montagne di immondizia. Un ghetto che si apre tra via Amerigo Vespucci e i Cantieri del Mediterraneo, tra la città e il porto, senza acqua né luce, una impressionante emergenza sociale oltre che sanitaria. Dicono di essere una cinquantina, in realtà sono molti di più, quasi tutti tossicodipendenti o alcolizzati, vivono lì da soli o in compagnia di avventori saltuari, si drogano e aspettano i clienti. Nella zona, quell'area maledetta l'hanno già definita la Rogoredo napoletana, il paradiso dell'eroina, il famoso bosco della felicità, una delle più accorsate piazze di spaccio di tutta Milano, a pochi chilometri dalla stazione ferroviaria, teatro di scene raccapriccianti raccontate perfino da Fabrizio Corona aggredito da un numero imprecisato di persone mentre si trovava lì per girare un documentario. Come a Rogo, così la chiamano da quelle parti, anche alla Marinella i prezzi di eroina e cocaina sembrerebbero essere più bassi che altrove e il via vai, a tutte le ore, di giovani e meno giovani, segnalato da chi vive in via Vespucci e dintorni, non è altro che una conferma. Emanuela, 22 anni, di Maddaloni, è una delle poche ragazze italiane che abita in quell'inferno, molti sono stranieri: tunisini, eritrei, sudanesi, nigeriani, polacchi, ucraini.
 
Giacca a vento e cappello calato sul viso per ripararsi dal freddo, sguardo liquido e parole pronunciate con lentezza, Emanuela racconta che si troverebbe lì solo da qualche giorno per passare un po' di tempo con il suo fidanzato, un tossicodipendente ultraquarantenne del Ghana, capelli rasta e un cappello colorato alla Bob Marley. Con loro c'è un'altra coppia mista, Africa e Polonia, anche in questo caso lei ha poco più di 20 anni e lui meno di 50. Due generazioni a confronto: i salvati dall'epidemia di eroina degli anni Ottanta e i nuovi iscritti del 2019, insieme nel baratro, quando non si pensava più che la storia si sarebbe potuta ripetere.

«In realtà il mercato non si è mai bloccato, si era solo fermato all'uso che ne facevano le persone più marginali, i più devianti - spiega Stefano Vecchio, direttore del Servizio dipendenze della Asl Napoli 1 - poi lo stesso mercato ha iniziato a differenziarsi e a modificare anche le modalità organizzative». Un traffico che, lentamente, ha cominciato anche a cambiare le zone di spaccio: «Prima l'eroina veniva gestita dai clan solo a Scampia - aggiunge Vecchio - adesso la trovi pure in altre piazze, la vendita è diventata più flessibile e soprattutto accessibile».

Sono i ragazzi, i ventenni, quelli che vanno ad approvvigionarsi dagli utenti-spacciatori che vivono nelle baracche della Marinella dove il Servizio Asl coordinato da Vecchio distribuisce con regolarità siringhe e preservativi. I tossicodipendenti che assumono sostanze per via endovenosa vengono esposti a un doppio rischio, quello rappresentato dalla droga associato alla possibilità di contrarre una serie di malattie dovute all'uso di materiale non sterile.

Da un lato, dunque, i cosiddetti marginali, per lo più migranti e persone che vivono in strada, dall'altro chi, molto meno marginale, arriva nell'inferno della Marinella per acquistare una dose da consumare - come lo definisce Stefano Vecchio - nel «contesto del divertimento». «Tra i ragazzi viene prevalentemente sniffata - spiega il direttore del Servizio dipendenze della Asl Napoli - per certi versi così è meno pericolosa e si inserisce a pieno titolo nel supermarket delle droghe». Non solo: da quando è tornata sul mercato l'eroina viene utilizzata anche per compensare gli effetti stimolanti di altre sostanze, lo speedball, ad esempio. Un termine impiegato, in modo piuttosto generico, per indicare una particolare miscela di sostanze stupefacenti, eroina e cocaina in particolare, utilizzate insieme per scopi ricreativi con l'obiettivo di migliorarne gli effetti. «Nel mondo del divertimento il nome delle sostanze ormai non ha più importanza, la parola eroina non fa paura come una volta, e poi il fatto che non si usi più la siringa lascia credere che i danni siano minori - conclude l'esperto - il problema, purtroppo, è sempre lo stesso, i giovani sono disinformati, tendono a utilizzare le sostanze che vengono loro offerte senza alcuna cautela. Così è facile perdere il controllo e diventare dipendenti. Bisognerebbe avviare una seria campagna informativa che coinvolga, naturalmente le scuole, ma anche e soprattutto i genitori che hanno un ruolo fondamentale». Intanto gli operatori del Sert quell'area della Marinella la tengono sotto controllo da tempo, sanno bene che si tratta di una zona ad alto rischio dove può succedere davvero di tutto. 

Da un lato le baracche, dall'altro montagne di rifiuti. Materassi ovunque, erba alta, avanzi di cibo, bottiglie, lattine, siringhe ancora sporche di sangue. Proprio lì, nella zona di via Vespucci, da oltre dieci anni sarebbe dovuto nascere un meraviglioso parco ma dall'ultimo sgombero dello scorso anno, quando carabinieri, polizia, guardia di finanza e vigili urbani liberarono l'intera zona dai tossicodipendenti - non se ne parla neanche più. Sulla carta doveva essere un'area di circa 30mila metri quadrati tra l'ospedale Loreto Mare e il Porto, un vero e proprio parco giochi inclusivo ricco di aree verdi. Inclusivo perché doveva essere progettato anche per i bambini disabili che avrebbero potuto giocare e interagire con i propri coetanei in tutta tranquillità e senza disagi. Sulla carta. In realtà pochi mesi dopo l'entrata in azione delle ruspe, la zona è tornata a essere esattamente quella che era prima: la baraccopoli dei tossicodipendenti. Si vedono pali di legno carbonizzati, reti dei letti annerite e contorte, teli di plastica squagliati. E poi tanti resti di vita quotidiana: dadi da brodo sparsi per terra, un sacco di riso bruciacchiato, piccole bombole. 

Emanuela, la ragazza di Maddaloni, dice pure che, alla fine dei conti, non si sta poi tanto male. «Abbiamo tutto: un tetto sulla testa, un tavolo, un materasso e non fa neanche tanto freddo. È vero, manca il bagno ma ci arrangiamo fuori: con tutto lo schifo che c'è non venissero a dirci che siamo noi a sporcare».

Il pranzo viene preparato alla meglio in pentole di fortuna su fuochi appiccati grazie a tutto il materiale infiammabile raccolto tra le montagne di rifiuti che circondano la baraccopoli. Alla cena, invece, pensano le varie associazioni di volontariato che, tutta la settimana, garantiscono un pasto caldo anche ai disperati della Marinella. Cibo e coperte, panini e scarpe, latte caldo e abbigliamento. L'altra sera è toccato agli Angeli di strada di via Villanova distribuire vaschette di pasta e patate in quell'angolo di inferno. Non tutti accettano e non tutti escono dalle baracche. «Prendo anche per mio amico - dice una giovane donna dell'Est - lui è già a dormire. Conservo per domani». Hanno lo sguardo allucinato e alcuni di loro non sembrano neanche troppo interessati al cibo che gli viene offerto: «Non ho fame, voglio soldi - chiede un ragazzo africano ai volontari di Villanova - anche 5 euro, devo pagare un amico che me li ha prestati. Droga? Quando mai, qua niente droga. Il nostro problema è che non abbiamo lavoro. Senza lavoro niente casa».
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