Egregio direttore, ho svolto le funzioni di pubblico ministero per circa 45 anni, per cui mi consenta di intervenire sul tema delle “pagelle ai magistrati”. Concordo, infatti, pienamente con il ministro Cartabia sulla necessità di più formazione e controlli di qualità sul lavoro dei giudici, ma mi permetta di dissentire dalla tesi espressa sul suo giornale dall’autorevole collega Nordio, che, nel commentare una proposta del vice presidente del Csm Ermini, ha scritto che “se tanti processi chiesti da un pm finiscono in assoluzioni qualcosa di quel pm non va”. Ed invero se la carriera di un pm fosse sempre condizionata dall’esito delle sue inchieste e se la sua qualità fosse valutata sulla base delle assoluzioni o delle condanne degli imputati, quale magistrato di Procura - salvo pochi coraggiosi - si avventurerebbe più a chiedere il rinvio a giudizio in delicate indagini, dagli incerti risultati per la loro complessità, su reati di corruzione, bancarotta, peculato e così via, piuttosto che adagiarsi esclusivamente in comode e tranquille richieste di processo per reati bagattellari e liti di cortile o in inchieste con arresti in flagranza, pacifiche prove documentali o confessione dell’imputato? L’ovvia conseguenza non può che essere quella di un pm relegato al ruolo di burocrate e di passacarte, tradendo quello che gli compete di garante dell’osservanza della legge e del rispetto della legalità.
Paolo Albano
Santa Maria Capua Vetere
Caro dottor Paolo, mi permetta di dissentire dal suo dissenso.
Federico Monga