Iran, la lotta dei ragazzi: «In piazza senza paura di morire». In centinaia spariti nelle carceri segrete

Altri 11 condannati alla pena capitale. Medici curano di nascosto i manifestanti aggrediti dalla polizia iraniana

Iran, la lotta dei ragazzi: «In piazza senza paura di morire». In centinaia spariti nelle carceri segrete
Iran, la lotta dei ragazzi: «In piazza senza paura di morire». In centinaia spariti nelle carceri segrete
di Mauro Evangelisti
Sabato 10 Dicembre 2022, 06:41 - Ultimo agg. 15:20
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«Questi giovani sono molto più coraggiosi di quanto lo fummo noi, più di quarant'anni fa. Non si fermeranno, lottano per la libertà ma anche perché ormai la crisi economica è divenuta insopportabile» sospira Shahrzad Sholeh, presidente dell'Associazione donne democratiche iraniane. Lasciò Teheran dopo avere partecipato alla rivoluzione contro lo scià, quando iniziarono le persecuzioni di chi non voleva la trasformazione in Repubblica islamica, in un regime religioso che avrebbe tolto quelle libertà che tanti, come Shahrzad, pensavano di conquistare e che venivano sottratte, soprattutto alle donne. Oltre quarant'anni dopo in Iran la situazione è perfino peggiorata, con l'impiccagione di Mohsen Shekari, 23 anni, condannato per avere partecipato alle proteste che stanno proseguendo da tre mesi, da quando un'altra giovanissima - Mahsa Amini, ventiduenne - morì in carcere dopo essere stata arrestata dalla famigerata polizia religiosa perché non indossava in modo corretto il velo. Dalla morte di Mahsa le proteste sono divenute qualcosa di gigantesco, anche più di quelle che ciclicamente si vedono in Iran. All'impulso delle nuove generazioni che chiedono libertà, si sono unite le istanze di commercianti (che hanno protestato con una lunga serrata), operai e disoccupati travolti dalla crisi economica. Il regime sta rispondendo nell'unico modo che conosce, intensificando la repressione. Secondo Iran Human Rights le vittime della polizia sono già quasi 500.

REPRESSIONE

Racconta l'ong con sede in Norvegia: «Sono 11 le persone condannate a morte in Iran dopo essere state arrestate durante le proteste. Altre decine di persone rischiano attualmente la pena capitale, non possono incontrare i loro avvocati. La Repubblica Islamica ha intenzionalmente nascosto i nomi dei manifestanti con condanne a morte confermate». Quella di oggi sarà un'altra giornata drammatica: nuove manifestazioni sono state programmate nel pomeriggio dopo l'impiccagione di Mohsen Shekari. Ieri il regime, colpito da nuove sanzioni dell'Occidente, ha consentito una sepoltura solo in gran segreto, ma qualcuno è riuscito a lasciare un biglietto con scritto: «Continua a lottare e non stancarti, resisti e tieni alta la testa».

Le voci che arrivano da Teheran, da studenti, lavoratori e disoccupati che ogni giorno manifestano nel corso di proteste convocate grazie ai social e ai sistemi di messaggistica, ma anche ricorrendo ai più tradizionali volantini, vanno in un'unica direzione: non abbiamo paura di morire, non temiamo gli arresti, semplicemente non abbiamo più nulla da perdere.

E così perfino Farideh Moradkhani, la nipote della Guida suprema Ali Khamenei, è stata condannata a 15 anni di carcere dal Tribunale speciale del clero, pena poi ridotta a 3 anni. Una settimana fa aveva diffuso un video in cui chiedeva alla comunità internazionale di isolare un regime «che non è più fedele ad alcuno dei principi religiosi che segue». E anche la madre di Farideh, dunque la sorella di Ali Khamanei, aveva scritto: «Spero di vedere presto la vittoria del popolo e la caduta di questa tirannia che ora governa l'Iran. Mi oppongo alle azioni di mio fratello». «In Iran c'è una vera rivoluzione. Rispetto alle precedenti proteste, c'è maggiore organizzazione da una parte, grazie alle Unità della resistenza iraniana. Ma c'è anche una più forte adesione spontanea di vari strati della popolazione. In questi tre mesi, tutti i giorni, in tutte le università, a Teheran come nei paesi piccoli, ci sono proteste. Dopo 43 anni di repressione la gente non ce la fa più» ripete Shahrzad Sholeh, che ricorda come oggi più del 79 per cento della popolazione sia sotto la soglia della povertà.

 

TUNNEL

L'avvocata iraniana Nasrin Sotoudeh, incarcerata da molto tempo, ha inviato una lettera a Genova in occasione della consegna del Premio Ipazia Internazionale. Si legge: «In Iran da più di 40 anni si ripetono le umiliazioni e le discriminazioni contro le Donne. Metà della popolazione è stata condannata a vivere nel tunnel della morte, senza assaporare il gusto della Vita e della Libertà». The Guardian ha raccolto le testimonianze dei medici che curano di nascosto i manifestanti aggrediti dalla polizia iraniana. Gli agenti stanno ferocemente prendendo di mira le donne, sparando pallini da caccia all'altezza del viso, del petto e dei genitali. Una rete di medici coraggiosi, in ambulatori segreti, aiuta i manifestanti, ragazzi che porteranno per sempre sul volto i segni della repressione. Ogni giorno decine di manifestanti scompaiono nel nulla, portati nelle prigioni oscure dei servizi segreti iraniani. Eppure, la protesta prosegue. «Gliel'ho detto - dice Shahrzad Sholeh - questi ragazzi sono molto più coraggiosi di quanto lo fummo noi».

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