Dagli alberi ai palazzi, Napoli cade a pezzi: in un anno 1.800 ordinanze di pericolo

Dagli alberi ai palazzi, Napoli cade a pezzi: in un anno 1.800 ordinanze di pericolo
di Paolo Barbuto
Domenica 9 Giugno 2019, 08:00
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Il capitano Marraffino comanda i vigili di San Lorenzo, allarga le braccia sconsolato davanti al crollo di via Duomo e alla domanda diretta: quanti palazzi di Napoli sono nelle stesse condizioni? «Quelli con facciate a rischio cedimento nel mio territorio? Credo che siano più di cento, ma dovrei controllare la documentazione per fornire dati puntuali».

Il numero, anche se ripetuto a memoria, senza aver controllato i documenti, mette i brividi. Nella sola piccola porzione di centro storico che fa capo ai vigili dell'Unità Operativa San Lorenzo ci sono circa cento palazzi potenzialmente pericolosi, un'enormità che, invece, nella Napoli fragile e cadente rappresenta una porzioncina piccola. Perché i pericoli sono estesi a tutto il territorio, ovunque: dal cuore della Napoli-bene fino alle periferie.
 
La città ha pianto la morte del 14enne Salvatore Giordano ucciso dal crollo della galleria Umberto nel 2014, prim'ancora s'era disperata per la tragica fine di Fabiola di Capua schiacciata da un palo della luce sul lungomare e di Cristina Alongi morta per il crollo di un pino a via Aniello Falcone. Sei mesi fa ha osservato, attonita, le immagini di un tronco che ha spezzato la vita di Davide Natale a Piazzale Tecchio. Napoli è una città nella quale perfino passeggiare è un pericolo.

Nella maggior parte dei casi l'allarme sulle condizioni degli stabili viene lanciato dal Comune che diffonde a piene mani provvedimenti «a tutela della pubblica incolumità». Si tratta di ordinanze firmate dal sindaco con le quali viene imposto agli edifici considerati a rischio di provvedere alla messa in sicurezza.

Se volete farvi un'idea del numero di ordinanze firmate in un solo anno da de Magistris, sappiate che si viaggia alla media di cinquanta provvedimenti ogni dieci giorni, centocinquanta segnalazioni di edifici pericolosi ogni mese, 1.800 all'anno: numeri da far venire la pelle d'oca perché ognuna di quelle ordinanze nasconde un pericolo analogo a quello che ieri ha strappato la vita al povero Rosario Padolino.

Non sono solo gli edifici privati a nascondere pericoli di cedimenti. Nel conto delle strutture a rischio ci sono anche monumenti, chiese, caserme. È recentissimo lo sprofondamento della chiesa e il seguente cedimento strutturale dell'intero ospedale degli Incurabili, è ancora più viva la memoria del ferimento del giovane turista tedesco colpito alla testa da un fregio crollato dalla facciata di un edificio al Corso Umberto.

Sono meno noti, invece, i problemi riscontrati, dall'inizio di quest'anno, a numerosi edifici che hanno fatto la storia della città. Palazzo Filomarino si trova in via Benedetto Croce, strada dedicata al filosofo che visse proprio in quell'edificio: dalla ex casa di Croce, dove oggi c'è la sede dell'Istituto Italiano di Studi Filosofici, secondo il Comune è stato riscontrato pericolo di «caduta di calcinacci dalla facciata prospiciente via San Sebastiano» tanto da imporre lavori immediati per cancellare il pericolo.

A palazzo Doria D'Angri, l'edificio dal quale si affacciò Giuseppe Garibaldi, invece i tecnici hanno lanciato un allarme per «distacco di intonaco dalla facciata e cornicione pericolante».

Al novero delle strutture in bilico sulla città non sfuggono nemmeno strutture «ufficiali», uffici ministeriali, caserme. Nelle recenti infornate di ordinanze sulle strutture pericolanti c'erano la caserma Nino Bixio della polizia di stato al Monte di Dio e la caserma Sanges della Guardia di Finanza a Mergellina, entrambe a rischio per pericolo di caduta di calcinacci dalle facciate.

Particolarmente suggestiva la situazione di un edificio che si trova al numero 21 di via Marchese Campodisola presso il quale gli esperti di palazzo San Giacomo hanno segnalato la preoccupazione per possibili cedimenti del rivestimento della facciata composto da grosse lastre lapidee e anche del cornicione. In quell'edificio c'è la sede napoletana del Ministero delle Infrastrutture: lì ci sono gli uffici del Provveditorato alle Opere pubbliche che il Comune di Napoli chiama ad intervenire per «opere private» a tutela dell'incolumità dei passanti.

Sono decine gli edifici sacri della città di Napoli che, nel tempo, sono stati segnalati per problemi di tenuta di stucchi e facciate. L'ultimo in ordine di tempo è la chiesa di San Potito alla Costagliola, cinquanta metri in linea d'aria dal Museo Archeologico. Area antistante la chiesa da inibire ad horas, secondo il Comune, perché anche lì la facciata rischia di perdere pezzi che potrebbero finire sulla testa dei fedeli. Anche lì richiesta di interventi di messa in sicurezza immediati.

Gli stessi che sono stati chiesti, più volte nel corso del tempo, alla chiesa di San Giorgio Maggiore che si trova di fronte al luogo del cedimento di ieri. Attualmente l'intero cornicione della storica chiesa napoletana è avvolto da una rete di protezione che, come abbiamo tristemente imparato ieri, non serve a contenere i crolli di materiali più imponenti.

Proprio lungo via Duomo, quasi all'incrocio con via Foria, l'altro giorno il Comune ha segnalato il pericolo della sporgenza in piperno di un balcone del primo piano che presenta evidenti segnali di distacco. Anche in quel caso è stata inviata una richiesta di interventi di messa in sicurezza immediata. Nella giornata di ieri, lungo la stessa strada della tragedia, all'incrocio con l'area degli scavi archeologici di Carminiello ai Mannesi, i vigili del fuoco hanno rimosso un gigantesco pezzo di cornicione che era pronto a crollare sulla testa dei passanti.

Quando arriva la richiesta di intervento a tutela della pubblica incolumità scatta una procedura di verifica. Al condominio (o al privato), vengono concessi sessanta giorni per opporsi o per intervenire, in caso di mancato riscontro scatta la denuncia alla Procura della Repubblica.

Nella maggior parte dei casi si interviene proprio posizionando quelle fragili retine di colore verde che attualmente avvolgono centinaia di edifici a Napoli. Secondo i tecnici che firmano i certificati di «eliminato pericolo» quella operazione basta a tutelare i passanti. Il percorso burocratico, poi, di fronte al certificato ufficiale, si arresta. Ed è in questa fase che ricominciano i guai: le reti servirebbero a «reggere» le strutture per qualche tempo (poco) in attesa di lavori di ristrutturazione degli edifici. Invece restano lì per anni, in attesa di lavori che non vengono eseguiti mai: così le reti diventano ancora più fragili, il degrado delle strutture aumenta perché non ci sono interventi di sostentamento, e si verificano eventi tragici come quello di ieri.
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