Bollette, gli industriali di Napoli: «Stremati e pronti a chiudere, l'impatto sarà devastante»

Bollette, gli industriali di Napoli: «Stremati e pronti a chiudere, l'impatto sarà devastante»
di Valerio Iuliano
Domenica 28 Agosto 2022, 11:00 - Ultimo agg. 16:09
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«Se il governo non interviene in tempi brevi, tra settembre e ottobre un numero impressionante di aziende sarà costretto alla chiusura. L'impatto sarà devastante, anche in termini di ricorso agli ammortizzatori sociali, il Pil nazionale ne risentirà ampiamente e le ricadute sociali saranno enormi». Quello che si delinea per l'autunno prossimo è uno scenario da incubo per il leader dell'Unione industriali Napoli Costanzo Jannotti Pecci

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Presidente, intravede un default generalizzato delle aziende energivore?
«Le chiusure coinvolgeranno tutti i settori e le aree geografiche.

La distinzione tra aziende energivore e non energivore non ha più senso. Oggi non c'è azienda - piccola o grande - che non abbia un'esigenza di energia, strategica rispetto al proprio ciclo produttivo. Ad esempio, un'azienda alberghiera che per l'energia prima spendeva il 4 per cento del fatturato, ora si trova a impiegarne il 20. Il discorso riguarda anche i piccoli esercizi».

A che cosa si riferisce?
«I numeri di un piccolo esercizio commerciale sembrano modesti, ma se prima pagava mille o 1.500 euro al mese e ora si trova a pagarne 15mila, come potrà resistere? Si innescherà un meccanismo a catena e chi resterà in piedi ribalterà il costo del prodotto finale sui consumatori, l'inflazione arriverà a due cifre».

Il governo è stato poco sensibile alle vostre esigenze?
«La tassazione degli extraprofitti non ha generato granché. Il price cap tarda ad arrivare e, in ogni caso, non sarà decisivo. Se lo dimezzassero, sarebbe superiore di almeno 8 volte al prezzo del gas prima della crisi. Anche quando fattori esogeni come la guerra in Ucraina saranno venuti meno, i prezzi non torneranno ai valori dello scorso anno. Mancano risposte da parte del governo e del Gse».

Quali?
«Come mai, nonostante l'energia elettrica sia prodotta solo per il 40 per cento con il metano, il prezzo finale è determinato facendo riferimento solo all'aumento del metano? E perché le grandi compagnie di produzione dell'energia elettrica hanno ottenuto utili netti fino al 600 per cento in più nel primo semestre 2022, se si sono limitate ad allineare il prezzo agli incrementi del metano?».

E gli altri aspetti?
«Il governo si rende conto che, se le aziende chiudono o sospendono l'attività, la cassa integrazione per i lavoratori sarà molto più devastante per i conti pubblici rispetto ai sostegni che potrebbero essere dati ora? E non si dica che il governo può sbrigare solo gli affari correnti, va salvaguardato un apparato industriale in gravi difficoltà».

Voi cosa proponete per arginare il fenomeno?
«Occorre integrare le risorse che il governo riuscirà a mettere in campo con altri meccanismi, come un credito di imposta al 70-80 per cento, utilizzabile in 5 esercizi finanziari per non gravare in unico anno sulle casse pubbliche e non impattare sull'inflazione».

E dal punto di vista dell'approvvigionamento energetico?
«Le Pmi devono autoprodurre energia. Una norma recentemente approvata consente di realizzare in 2 anni impianti di produzione di energie rinnovabili fino ad 1 megawatt con modalità sostanzialmente automatiche. Anche in questo caso, però, ci sono stati intoppi».

Quali?
«Un'integrazione voluta dal ministro Franceschini rende inapplicabile la norma proposta da tutti i partiti nelle aree di tutela ambientale generica e nei centri storici. È un fatto molto grave, le aziende del settore turistico di Napoli, isole del Golfo e Costiera Amalfitana non potranno realizzare gli impianti in tempi brevi. Dobbiamo trovare soluzioni, prima che sia troppo tardi. Nel Sud ci sono tante attività a carattere familiare che, dinanzi ad una chiusura, non potrebbero beneficiare nemmeno di ammortizzatori sociali». 

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