Camorra, boss al 41 bis; vietato l’acquisto di cibo: «Accresce il carisma»

Camorra, boss al 41 bis; vietato l’acquisto di cibo: «Accresce il carisma»
di Dario Sautto
Domenica 18 Aprile 2021, 23:30 - Ultimo agg. 19 Aprile, 19:13
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Sì all’uso della cucina entro gli orari consentiti nel penitenziario, no all’acquisto di generi alimentari «come gli altri detenuti» se ristretti al 41-bis. Perché un boss può accrescere il proprio «prestigio criminale» attraverso gli scambi consentiti nel «gruppo di socialità». Proprio nei giorni in cui la Consulta ha ritenuto l’ergastolo ostativo incompatibile con la Costituzione, chiedendo al Parlamento di rivedere la norma entro il maggio 2022, la Cassazione si è espressa sul ricorso presentato dal ministero della Giustizia tramite l’Avvocatura di Stato contro Luigi D’Alessandro, 47 anni, da una ventina al regime del carcere duro, affiliato di spicco del clan di camorra di Castellammare di Stabia.

D’Alessandro aveva ottenuto il particolare beneficio dal tribunale di Sorveglianza di Perugia. Lui, detenuto al 41-bis nel penitenziario di Spoleto, aveva chiesto l’equo trattamento sotto questo aspetto, ottenendo dal magistrato di Sorveglianza che gli fosse «consentito di acquistare a “modello 72” gli stessi cibi acquistabili presso le altre sezioni dell’Istituto penitenziario e di cucinare i cibi senza previsione di fasce orarie particolari».

In pratica, a Luigi D’Alessandro era stato permesso di servirsi al «sopravvitto», in pratica una sorta di supermercato interno al penitenziario, e dunque di poter acquistare gli stessi prodotti fruibili per i detenuti in regime ordinario.

Infatti, in tutte le sezioni dei padiglioni è affisso in bacheca il «modello 72», un elenco di prodotti (generi alimentari, detersivi, cartoleria, sigarette) che possono essere acquistati presso l’impresa all’interno dell’istituto, con addebito sul conto corrente personale del detenuto. 

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L’ok del tribunale di Sorveglianza era arrivato lo scorso mese di giugno, ma nei giorni scorsi la Cassazione ha parzialmente ribaltato quel verdetto in base a un principio chiaro. Quel divieto è «finalizzato a impedire che il detenuto sottoposto a regime differenziato possa acquistare in carcere quantità e qualità di cibi tali da dimostrare e/o imporre il suo carisma, o spessore criminale, al resto della popolazione carceraria». E la Cassazione ha ritenuto che il caso di Luigi D’Alessandro sia questo. Detenuto per reati di camorra, lo scorso anno condannato in via definitiva ad altri vent’anni di detenzione, è al regime del carcere duro perché in passato aveva più volte provato a comunicare con l’esterno, attraverso una serie di lettere dal «contenuto criptico». Il rinnovo del 41-bis era arrivato su questi presupposti proprio nel 2017 e continua ad essere in vigore.

«Il divieto di acquisto di determinati cibi – scrivono gli ermellini – è finalizzato a evitare, in un’ottica preventiva, il pericolo che il detenuto, sottoposto a regime differenziato, possa conseguire la disponibilità di quantità e qualità di cibi tali da consentirgli di dimostrare e/o di imporre il suo carisma, o spessore criminale» nei confronti degli altri detenuti. Insomma, di dimostrare che lui è un boss e ha grosse disponibilità economiche che gli permettono anche di affermarsi all’interno del penitenziario. Inoltre, sempre in carcere non è consentito «il possesso, da parte del detenuto, di generi alimentari pregiati, che risultino motivo di discriminazione fra detenuti, tali da distinguere la sua posizione pur all’interno del limitato “gruppo di socialità” di appartenenza con ulteriore limitazione alla possibilità, per il detenuto, di ricevere dall’esterno somme, beni e altri oggetti». 

 

Questo anche in virtù di una sentenza Corte Costituzionale che, dallo scorso maggio, consente «lo scambio di oggetti tra detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità». Per questo, secondo i giudici «non può condividersi l’affermazione del Tribunale di Sorveglianza, secondo cui i beni sarebbero fruiti dal detenuto all’interno della propria camera detentiva senza che si possano creare le paventate affermazioni di status». Ora, il tribunale di Sorveglianza di Perugia dovrà rivalutare la questione. 

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